Concorso di persone nel reato e comparazione con differenti ordinamenti.

 

Italia

Il concorso nel reato (art. 110 c.p.)
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Le norme penali prevedono e puniscono azioni che possono essere compiute sia da individui singoli sia da un insieme di persone che si condizionano moralmente o si aiutano materialmente nel porre in essere il fatto criminoso. L’art. 110 del codice penale stabilisce: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita […]”. Il concorrente viene non soltanto punito quando lo stesso abbia partecipato in qualità di coautore (ovvero come soggetto tra gli esecutori materiali del reato, ponendo in essere la fattispecie tipizzata dal codice penale) alla perpetrazione del delitto ma anche quando abbia fornito un contributo causale atipico alla commissione dello stesso. Il modello di tipizzazione adottato dal legislatore italiano è infatti il modello unitario che non compie alcuna differenza tra le figure di autore, coautore e complice poiché tutti i contributi vengono trattati in maniera indifferenziata. Pertanto, salvo i contemperamenti previsti dagli artt. 113 e 114 (contributo di minima rilevanza), ogni concorrente nel reato soggiace alla pena per questo stabilita. La punibilità della condotta atipica del concorrente, per una parte della dottrina, sarebbe giustificata dalla circostanza per cui il fatto commesso da quest’ultimo – si ripete non tipizzato e che non costituirebbe di per sé reato – accede al fatto costituente reato commesso dall’autore principale e per tale ragione diventerebbe punibile (teoria dell’accessorietà). Altra teoria che giustifica la punibilità del concorrente è quella dell’innesto dell’art. 110 c.p. sulla norma di parte speciale, operazione per cui si verrebbe a creare una fattispecie tipica in ragione del combinato disposto dell’art.110 c.p. e della norma di parte speciale che prevede il reato. Il concorrente verrebbe in tal caso punito per la nuova fattispecie venutasi a creare.

 

Reato a concorso necessario e reato a concorso eventuale
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Alcune volte le norme incriminatrici, delineando la fattispecie, prescrivono che un determinato fatto possa costituire reato solo laddove venga compiuto da un insieme di persone. Altre volte, al contrario, il fatto potrà costituire reato anche laddove venga compiuto singolarmente, essendo solo un’eventualità la partecipazione di altri soggetti. Nel primo caso la norma indicherà un reato a concorso necessario (quale ad esempio un reato associativo o la fattispecie di bigamia o incesto) mentre nel secondo un reato a concorso eventuale.

 

 

Reati plurisoggettivi propri e impropri
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Nei reati a concorso necessario, o plurisoggettivi, si distingue ulteriormente tra reati plurisoggettivi propri e reati plurisoggettivi impropri. Nei primi tutti i concorrenti sono puniti dalla norma, mentre in quelli del secondo tipo solo la condotta di uno dei concorrenti sarà sanzionabile, essendo l’altro agente non punibile.

 

 

Concorso del soggetto esterno nel reato a concorso necessario
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È poi possibile che un soggetto esterno al reato a concorso necessario ovvero un soggetto non punibile perché la sua condotta non è normata nella fattispecie concorsuale necessaria, concorra eventualmente nella suddetta tipologia di reato, qualora con il proprio comportamento abbia rafforzato, agevolato o consolidato il fatto altrui costituente reato.

In tal caso, come in ogni altro reato a concorso eventuale, si applicherà l’art. 110 del codice penale sul quale si innesterà la fattispecie di parte speciale che prevede il reato necessariamente plurisoggettivo.

 

 

Elemento soggettivo
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Il concorrente, però, dovrà essere consapevole delle azioni altrui integranti il reato plurisoggettivo; in particolare dovrà rappresentarsi e volere che il proprio comportamento possa rafforzare la commissione del reato altrui e ancora che in concreto, la propria condotta, abbia contribuito a perpetrare il reato plurisoggettivo altrui.

Tali sono i requisiti soggettivi ed oggettivi perché una azione diversa da quella compiuta dall’esecutore materiale del reato, possa essere addebitata a titolo di concorso anche al partecipe o all’agevolatore.

Il nostro ordinamento, come precedentemente accennato, ha infatti aderito alla natura “unitaria” e non differenziata del reato concorsuale – per cui anche condotte atipiche diverse da quelle poste in essere dall’autore possono essere punite – ma vi è la necessità, quantomeno, che il partecipe sia a conoscenza del fatto costituente reato posto in essere dall’altro o dagli altri soggetti e che con la propria condotta abbia voluto agevolare l’evento delittuoso. Necessario per comminare la sanzione penale sarà inoltre accertare, ex post, che la condotta del concorrente abbia in concreto agevolato la commissione del reato.

Infatti, nel caso in cui il concorrente non sia a conoscenza del fatto posto in essere da altri, difetterebbe uno degli elementi costitutivi del reato, ovvero la colpevolezza, e il punirlo contrasterebbe con il principio costituzionale di cui all’art. 27 Cost.

Inoltre, accertare che la condotta del concorrente abbia in qualche modo agevolato la commissione del reato, sarà necessario per punire solo quelle condotte che, oltre ogni ragionevole dubbio, possano essere considerate quali segmenti che realmente hanno influito sulla verificazione dell’evento; in altri termini è necessario punire solo quelle condotte che abbiano potuto in concreto agevolare materialmente o moralmente la commissione del reato.

 

Concorso materiale e concorso morale
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Il concorso materiale è configurabile laddove il concorrente abbia fornito un aiuto materiale – ad esempio fornendo gli strumenti per commettere il reato – all’esecutore.

Il concorso morale si verifica invece qualora il concorrente, pur non ponendo in essere alcuna condotta materiale, abbia comunque esercitato una influenza morale sull’autore indirizzata a consolidarne il proposito criminoso.

Ciò si verifica specialmente – ma non solo – in tutti quei casi in cui il concorrente possa condizionare psichicamente l’esecutore per la considerazione che quest’ultimo ha del primo oppure allorquando tra il concorrente e l’esecutore materiale vi sia un rapporto di subordinazione/sovra-ordinazione.

 

 

Concorso anomalo ed elemento soggettivo
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Sovente accade che il reato voluto da uno dei concorrenti sia diverso da quello poi in concreto realizzato. In tal caso l’art. 116 c.p. attribuisce in maniera “anomala” la responsabilità penale per il fatto in concreto commesso anche a chi voleva quello diverso e lo sanziona in maniera più tenue.

Stando alla lettera della norma, quindi, un soggetto potrebbe rispondere penalmente in qualità di concorrente per un fatto da lui non voluto e imprevedibile, per mero collegamento eziologico tra la propria condotta e l’evento e senza alcuna propria partecipazione psichica. La norma appena citata, pertanto, se applicata alla lettera potrebbe destare sospetti di incostituzionalità perché non rispettosa del principio di colpevolezza per come quest’ultimo deve essere interpretato a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale n. 364 e n.1085 del 1988.

L’interpretazione dell’art. 116 c.p. dovrà essere pertanto rispettosa del principio costituzionale suddetto e il concorrente potrà rispondere sì del reato realizzato diverso da quello voluto ma solo allorquando l’evento delittuoso diverso poteva essere da lui preveduto come una delle conseguenze probabili del reato da lui voluto. Occorrerà quindi verificare se da un certa condotta, facendo riferimento alle circostanze soggettive e oggettive esistenti alla commissione del fatto, poteva essere preveduta dal concorrente la “diversa piega” che poteva prendere l’azione delittuosa da lui originariamente voluta.

 

Desistenza volontaria
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Una diversa questione si è posta riguardo all’esclusione della responsabilità a titolo di concorso per quel concorrente che desista volontariamente dall’azione. Ebbene, se è vero che la condotta del soggetto è punibile a titolo di concorso quando possa essere considerata un segmento che ha apportato un contributo alla realizzazione dell’evento, allora anche nel caso in cui lui desista è sempre possibile che il contributo precedentemente apportato non venga neutralizzato e pertanto il concorrente potrà essere comunque punito. Diversamente si deve opinare nel caso in cui il soggetto con un “pentimento operoso” riesca a neutralizzare i precedenti effetti della sua azione agevolatrice.

 

Reati a concorso necessario propri e impropri
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Si è già detto che i reati a concorso necessario possono essere distinti in propri e impropri. Nei primi la norma punisce entrambi i concorrenti, nei secondi invece la sanzione è prevista solo per uno. Per ciò che concerne i reati plurisoggettivi impropri vi è stato in passato un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale avente a oggetto la questione se il concorrente non punibile per la fattispecie plurisoggettiva sia diversamente punibile a titolo di concorso eventuale ex art. 110 c.p. sul quale va innestata la fattispecie plurisoggettiva impropria. La giurisprudenza prevalente ritiene che il concorrente non punibile per la fattispecie plurisoggettiva impropria possa invece essere punito allorquando con la propria condotta abbia istigato o indotto il soggetto, già punibile per la norma, a commettere il reato. Ovviamente, la possibilità di punire il concorrente ex art. 110 c.p., non punibile in virtù della norma che prevede il reato plurisoggettivo improprio, incontra un limite laddove quest’ultima norma miri a presidiare un bene appartenente al soggetto che dovrebbe istigare l’altro a lederlo.

 

 

Il concorso di persone nel reato proprio
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Ripartizione nota tra i delitti è quella che distingue i reati comuni dai reati propri. È comune il reato che può essere commesso da chiunque, è invece proprio il reato che può essere commesso solo da determinati soggetti qualificati all’interno dell’ordinamento giuridico. Avere una qualifica, sia che essa sia riconosciuta formalmente, sia che il soggetto eserciti di fatto una determinata funzione “qualificata”, lo pone in una particolare relazione con determinati beni giuridici; ed è questo il motivo per cui proprio il soggetto qualificato e non altri può essere in grado di lederlo.

 

 

Reati propri esclusivi e non esclusivi
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Tra i reati propri vanno poi distinti i reati propri esclusivi da quelli non esclusivi. I primi contemplano quei fatti che se commessi dal soggetto non qualificato non costituiscono reato. I secondi si riferiscono a quei fatti che se commessi dal soggetto non qualificato costituiscono sempre reato ma a titolo diverso.

Il concorso dell’estraneo nel reato proprio si atteggia diversamente a seconda che quest’ultimo sia un reato proprio esclusivo o non esclusivo. Nel primo caso il concorrente dovrà infatti essere a conoscenza della qualifica soggettiva dell’intraneo, e ciò in ossequio al principio di colpevolezza, mentre nel secondo caso potrà anche ignorare la qualifica e tuttavia risponderà comunque del reato proprio in concorso con l’intraneo ex art. 117 c.p. e non del diverso reato autonomamente attribuitogli dall’ordinamento. Benché in tal caso il concorrente sia punito in maniera più tenue la norma in questione è sospetta di incostituzionalità per la mancata completa partecipazione psichica dell’estraneo nel reato commesso materialmente dall’intraneo del quale, come detto, l’estraneo non conosce la qualifica. Non a caso parte della dottrina ha affermato che l’art. 117 c.p. è una disposizione che contempla un caso di responsabilità oggettiva e ha insistito perché si legga alla luce dei principi costituzionali e che anche in tal caso si dovrebbe affermare la necessità che l’estraneo sia a conoscenza della qualifica dell’intraneo.

Vi è poi la possibilità che vi sia concorso nel reato proprio anche quando l’esecutore materiale non sia l’intraneo ma l’estraneo. In tal caso si afferma che il concorso dell’estraneo nel reato proprio è ammissibile solo laddove l’intraneo rimanga comunque il “dominus” dell’azione.

 

 

Concorso omissivo
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Il concorso di persone può realizzarsi in forma omissiva ex art. 40 e 110 c.p., qualora vi sia una fonte legale – per alcuni anche qualora un soggetto assuma di fatto determinate posizioni di garanzia – che preveda obblighi in capo a determinati soggetti di impedire l’altrui commissione di reati. In tal caso il cosiddetto garante deve avere il potere e il dovere, prescritto da una fonte legale, di impedire i reati altrui. Deve poi necessariamente sussistere l’elemento soggettivo che può ravvisarsi nella consapevolezza del garante che i soggetti sottoposti alla sua vigilanza stanno commettendo reati (è necessario almeno il dolo eventuale del garante che è possibile dedurre dalla conoscenza che questi aveva di alcuni “campanelli d’allarme” indicativi della commissione del reato). Infine, il concorso omissivo ex art. 40 c.p. è immaginabile solo ove vi sia un evento (in tal caso il reato altrui).

 

Concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso
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Particolare interesse ha poi il dibattito relativo al concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, nonché, nell’ambito della stessa associazione, il concorso di chi riveste ruoli apicali per i delitti, cosiddetti eccellenti, perpetrati dagli associati.

In un primo momento la giurisprudenza affermava che perché potesse configurarsi il concorso esterno nel reato associativo, occorreva che l’estraneo, ovvero il soggetto privo dell’affectio societatis e non inserito stabilmente nell’associazione, apportasse un contributo, morale o materiale, che potesse ridare stabilità all’associazione in un momento in cui quest’ultima versasse in uno stato di crisi e di fibrillazione.

Tale indirizzo venne mutato con alcune celebri sentenze (ad es. Mannino) che, abbandonando la “teoria della fibrillazione”, statuirono che il concorso esterno poteva configurarsi ogni volta che l’estraneo – per tale intendendosi il soggetto che non è essenziale e necessario per l’esistenza dell’associazione – sappia della sua esistenza e dei suoi fini, che si rappresenti e voglia apportare un contributo finalizzato al suo consolidamento (elemento soggettivo) e che inoltre il suo contributo abbia in concreto e non solamente in astratto, rafforzato o consolidato l’associazione. La verifica del nesso di condizionamento deve pertanto effettuarsi ex post e cioè deve necessariamente accertarsi che il contributo sia stato concretamente idoneo a rafforzare o consolidare l’associazione. È evidente come la modalità con cui deve essere verificato il rapporto causale risenta molto dei dettami prescritti dalla sentenza Franzese.

Sempre in relazione al concorso esterno in associazione mafiosa occorre fare un cenno al caso in cui l’estraneo sia un politico.

In tal caso deve distinguersi tra il reato che si configura ogni volta che il politico paghi una somma all’associazione mafiosa affinché quest’ultima si prodighi per procacciargli voti, dal reato che potrebbe consumarsi quando l’esponente politico si limiti a promettere all’associazione favori in cambio di voti.

Nel primo caso, sussistente l’elemento soggettivo in capo all’estraneo, non potrebbe non configurarsi il concorso esterno poiché la somma di denaro pagata consolida ed aiuta certamente l’associazione.

Nel secondo caso, invece, il giudice dovrà verificare, ex post, se in concreto la promessa abbia potuto contribuire al rafforzamento dell’associazione anche a livello morale. Cosa che potrebbe verificarsi, ad esempio, laddove il politico promittente sia dotato di una certa caratura e di un certo spessore che renda più sicura e più forte l’associazione in virtù del suddetto legame.

 

Concorso del capomafia
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Dibattuto è stato inoltre il problema circa il concorso del capomafia nei delitti di una certa rilevanza commessi dai membri dell’associazione.

Secondo una parte della giurisprudenza, chi nell’ambito dell’associazione riveste una posizione apicale non può non essere partecipe e concorrente in tali delitti poiché deve presumersi che ne abbia contezza e inoltre che abbia acconsentito alla loro commissione.

Tale forma di responsabilità, invero, contrasta con il principio di colpevolezza perché radica in capo al boss una responsabilità oggettiva e solo per la posizione che ricopre.

Per tale motivo, anche in tal caso, deve necessariamente accertarsi che quantomeno il capo mafia sia stato a conoscenza dell’intenzione degli affiliati di commettere il delitto e che abbia – anche con “silenzi significativi” – dato il suo beneplacito.

Alla luce di quanto esposto può quindi concludersi che perché possa aversi incriminazione di un concorrente è necessario che la condotta di quest’ultimo, oltre ad essere connotata da colpevolezza, deve contribuire materialmente o moralmente alla realizzazione dell’evento delittuoso.

 

 

Connivenza non punibile
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Cosa diversa si deve affermare nel caso in cui il comportamento di un soggetto non possa essere considerato quale segmento di condotta che insieme alle altre abbia contribuito all’evento, perché in tal caso si avrà mera connivenza non punibile.

È il caso in cui, ad esempio, un soggetto che non rivesta alcuna posizione di garanzia e pertanto nessun obbligo di impedire il delitto, assista passivamente alla sua perpetrazione.

In tal caso, in genere, si ritiene che il soggetto non possa aver contribuito, nemmeno moralmente, alla realizzazione del delitto altrui, benché, in simili casi, occorrerà verificare tutte le circostanze fattuali e la condotta effettivamente da lui tenuta onde poter accertare che la presenza sul luogo del delitto sia stata assolutamente ininfluente. È infatti possibile che per i rapporti intercorrenti tra l’esecutore materiale e chi assiste passivamente il delitto, non possa escludersi a priori la responsabilità di quest’ultimo per concorso morale. Così come non potrebbe escludersi il concorso laddove il soggetto non si sia limitato ad assistere ma abbia manifestato con gesti la sua approvazione.

Diverso è il caso in cui chi assiste passivamente al delitto è gravato di uno specifico obbligo di garanzia di impedirlo o che abbia comunque una certa qualifica che gli impone di attivarsi.

In casi del genere infatti si ritiene che il comportamento di chi rimane inerte si riverberi necessariamente sulla psiche dell’esecutore materiale che sarà moralmente rinfrancato nella esecuzione del delitto.

 

 

Favoreggiamento personale
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Il concorso di persone nel delitto presuppone che lo stesso sia in corso di esecuzione e che non sia stato consumato. In tale ultimo caso non potrà, generalmente, configurarsi concorso ma, sussistendone i presupposti, il diverso reato di favoreggiamento personale.

L’attività delittuosa di chi non è autore materiale del delitto pertanto può rilevare in maniera diversa a seconda della fase del delitto. È opportuno quindi stabilire se l’’attività del partecipe si inserisca in un momento in cui il delitto sia stato già consumato o sia in corso di esecuzione. In altri termini, per operare la distinzione, è necessario stabilire il tempus commissi delicti per il reato di volta in volta preso in considerazione. A tal fine occorre operare un’analisi sulla natura dell’illecito.

 

 

Distinzione dei reati al fine di determinare il momento in cui un reato è stato consumato
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I reati si distinguono in istantanei e permanenti. Alcuni distinguono i reati permanenti dai reati istantanei a effetti permanenti. Si distinguono ancora i reati permanenti dai reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata e questi ultimi dai reati abituali.

Reati istantanei e permanenti

Nei primi l’azione delittuosa lede istantaneamente – distrugge o mette in pericolo – il bene giuridico. Ne consegue che concorrente potrà essere considerato il soggetto che parteciperà alla condotta in quel momento.

Nei reati permanenti l’azione delittuosa non è in grado di distruggere definitivamente il bene giuridico ma lo comprime e lo offende per tutto il tempo in cui dura l’azione. Il concorrente potrà partecipare all’azione anche laddove questa abbia già da molto tempo avuto inizio.

Reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata

Nei reati a condotta frazionata il reato è consumato già da una singola azione mentre quelle successive comportano una lesione maggiore al bene giuridico protetto dalla norma. Il soggetto che con coscienza e volontà partecipi anche ad una sola condotta sarà considerato concorrente.

Reati abituali

Infine le fattispecie che prevedono i reati abituali richiedono che il soggetto ponga in essere più azioni (reati necessariamente abituali per i quali la giurisprudenza richiede almeno due condotte per la sussistenza del reato) perché il reato possa considerarsi consumato. Concorrente sarà chi partecipa pertanto al numero minimo di condotte richieste dalla fattispecie astratta perché il reato possa dirsi perfezionato.

Qualora invece il reato sia già stato consumato e un soggetto aiuti il colpevole ad eludere le indagini dell’autorità giudiziaria porrà in essere l’azione punita dall’art. 378 c.p.

La norma in questione mira a garantire il corretto esercizio delle indagini atte ad assicurare il colpevole di un delitto alla giustizia e perché nessuno possa intralciarle impunemente.

È un reato presupponente perché vi è la necessità della consumazione di altro reato per il quale l’autorità stia già procedendo.

Secondo una parte della giurisprudenza è un reato di pura condotta e che pertanto può realizzarsi solamente con un comportamento attivo.

Secondo altra giurisprudenza, invece, sarebbe ipotizzabile anche nella forma omissiva ex art. 40 c.p., 378 c.p. In tal caso, tuttavia, occorrerebbe sempre e comunque individuare una fonte legale che imponga un obbligo di garanzia e inoltre indispensabile sarebbe la verificazione di un evento che, invece, l’art. 378 c.p., come accennato, non prevede essendo un reato di pura condotta.

Interessante al riguardo è stata l’opinione dottrinale per cui nel caso di reticenza o silenzio da parte dell’assuntore di droga al quale la polizia giudiziaria abbia chiesto di rivelare il nome dello spacciatore, sarebbe possibile configurare a suo carico il reato di favoreggiamento nella forma omissiva. Secondo questa parte della dottrina, in realtà, nel caso di favoreggiamento personale, un evento vi sarebbe, individuabile nella modifica in melius della posizione del soggetto favorito che avrebbe più chance di sottrarsi all’autorità.

Si è detto che il concorso di persone presuppone che il contributo del soggetto avvenga quando il reato non sia stato ancora consumato ma sia in corso di esecuzione.

In particolare nei reati permanenti il concorso potrà configurarsi solo laddove non sia cessata la permanenza, viceversa, a reato consumato, potrà configurarsi il reato di favoreggiamento.

 

Reato permanente e favoreggiamento
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Senonché il punto II dell’art. 378 c.p. sembra contraddire quanto si è appena affermato perché statuisce che “quando il delitto commesso è quello previsto dall’art. 416 bis, si applica, in ogni caso la pena della reclusione non inferiore a due anni.”.  In altri termini sembra possa verificarsi l’ipotesi di favoreggiamento personale anche nel caso in cui il reato presupposto sia ancora in corso di esecuzione. E in effetti ciò è quello che accade quando, ad esempio, un soggetto presti assistenza o aiuti a nascondere un ricercato, affiliato di associazione a delinquere non sciolta. Il problema è quindi quello di stabilire una linea di confine tra un possibile concorso esterno in associazione mafiosa ed il reato di favoreggiamento consumato a favore dell’affiliato.

Anche in tal caso una possibile soluzione potrebbe derivare dall’indagine sull’elemento soggettivo che anima chi favorisce e le ripercussioni che la sua condotta abbia avuto in concreto sulla realtà.

Nel caso in cui si accerti che la volontà del soggetto miri solamente a favorire l’affiliato allora dovrà escludersi il suo concorso esterno nel reato associativo. Diversamente deve opinarsi nel caso in cui il soggetto non solo voglia aiutare l’affiliato ma voglia anche agevolare l’intera associazione.

Nel caso in cui ricorra tale seconda ipotesi occorrerà inoltre accertare se la condotta di favoreggiamento abbia avuto concreta rilevanza causale nel rafforzare, consolidare o mantenere in vita l’associazione a delinquere.

 

 

 

comparazione con gli ordinamenti inglese, francese e tedesco
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Regno Unito (Complicity in crime)
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Anche l’ordinamento inglese è ispirato al modello unitario e non differenziato del reato commesso in concorso con altre persone (complicity in crime). Si prevede il concorso eventuale nel reato qualora il concorrente, attraverso il proprio comportamento, abbia rafforzato l’intento o l’azione criminosa altrui o abbia contribuito a perpetrare il reato commesso materialmente da altri soggetti. In tal caso il concorrente è considerato responsabile e passibile di sanzione penale parimenti all’autore o agli autori principali (principal o co-principals).

Norma di riferimento è l’art. 8 dell’Accessories and Abettors Act che testualmente dispone: è perseguibile e punibile come l’autore principale (principal offender) chiunque aiuti, istighi, consigli o induca alla commissione di un grave delitto[1] (indictable offence). Il contributo del concorrente può concretizzarsi sia in comportamenti idonei a influenzare psichicamente l’autore del reato rafforzandone il proposito criminoso – in tal caso si avrà concorso morale (moral accessory) – sia fornendo supporto o aiuto materiale all’esecutore, in tal caso si tratterà di concorso materiale (material accessory).

Distinzione tra gli accomplices

Tra i concorrenti (accomplices) alcuni autori compiono una differenziazione, in relazione alla realizzazione del reato concorsuale, tra le distinte figure e le diverse posizioni assunte dall’aider (agevolatore) e dall’abettor (istigatore) da un lato e dall’accessory (complice) dall’altro. Inoltre, tra gli accessories, viene effettuata un’ulteriore distinzione tra accessory before the fact e accessory after the fact. La differenza consisterebbe nel fatto per cui le posizioni dell’abettor e dell’aider si configurerebbero soltanto laddove tali concorrenti diano il contributo essendo gli stessi presenti sul luogo durante la commissione del reato, viceversa l’accessory fornisce il contributo soltanto prima o dopo il perpetrarsi dell’azione criminosa, quindi o nella fase preparatoria o a seguito della consumazione del delitto. Considerando il diverso grado di lesività del contributo partecipativo dell’aider e dell’abettor rispetto a quello dell’accessory ne dovrebbe anche conseguire un diverso trattamento sanzionatorio. In realtà, si ritiene che le distinzioni appena effettuate non abbiano più la rilevanza rivestita in passato. I termini accessory e abettor derivano dal diritto giurisprudenziale inglese che effettuava tale distinzione utilizzandola quale criterio per la valutazione della responsabilità penale e in particolare della colpevolezza. Leggi successive hanno soppresso tali distinzioni e considerano tutti i concorrenti quali autori principali. Non è quindi più necessario individuare il tipo di partecipazione, il “grado della colpa” o di responsabilità di un soggetto in caso di reato concorsuale, compiendo la distinzione ancorata alle figure menzionate ma una volta che la fattispecie concorsuale sia stata consumata, laddove se ne accerti il contributo (assistance), ogni concorrente è punito quale autore principale.[2] Residua la posizione dell’accessory after the fact che tuttavia non è considerato un concorrente ma è sanzionato quale autore di un reato distinto, i cui elementi costitutivi sono molto simili al nostro reato di favoreggiamento. L’autore di tale diverso delitto è punito generalmente in maniera più tenue salvo in caso di reati particolarmente gravi (sedition o treason).

Assisting offender

In relazione a tale ultimo aspetto giova anche ricordare come la categoria dell’accessory after fact sia stata sostituita da una fattispecie di reato – distinta dal reato concorsuale – introdotta dall’art. 4 del Criminal Law Act 1967 e rubricata “assisting offender”. Tale fattispecie corrisponde al nostro reato di favoreggiamento personale previsto dall’art. 378 c.p.[3]

Benché la distinzione tra le varie tipologie di accomplices risulti oggi più sfumata, così come descritto precedentemente, resta comunque il problema dell’attribuzione psichica del reato al concorrente ovvero il problema relativo all’accertamento della sua colpevolezza.

Elemento psichico

Nel diritto inglese, così come accade nel diritto italiano, il reato è imputabile al concorrente soltanto laddove possa rinvenirsi la partecipazione psichica di quest’ultimo ovvero egli dovrà essere conscio delle azioni altrui integranti il reato e dovrà inoltre essere consapevole e rappresentarsi che la propria condotta abbia contribuito concretamente alla perpetrazione del reato effettivamente commesso o di altri e diversi reati, anche se non precedentemente concordati, laddove abbia effettivamente previsto la commissione degli stessi, come probabili o alternativi, tenendo conto del contesto, delle circostanze e della finalità dell’azione delittuosa considerata nel suo complesso. Quanto affermato è stato sancito dalla giurisprudenza inglese nel celebre caso Maxwell del 1978 all’esito dell’ultimo grado di giudizio. La House of Lords pronunciava la sentenza di condanna per l’imputato opinando che un soggetto può essere condannato unicamente quando lo stesso abbia favorito un reato – commesso dall’esecutore materiale – che lui abbia effettivamente previsto. Il concorrente può aver previsto uno o più reati, in quest’ultimo caso egli li ha considerati come alternativi, lasciando la scelta all’esecutore materiale. Il concorrente è in tal caso penalmente responsabile laddove l’autore del reato scelga di commettere un reato che il complice aveva previsto.

In merito al concorso anomalo che, si ricorda, si verifica allorquando la norma incriminatrice attribuisce la responsabilità penale a un concorrente anche se questi voleva originariamente commettere un reato diverso da quello in seguito concretamente realizzato, la giurisprudenza inglese, nel pieno rispetto del principio di colpevolezza, si è più volte pronunciata nel senso di attribuire la responsabilità penale al complice solo laddove venga accertato l’elemento psicologico ovvero quando questi abbia concretamente previsto la possibilità che il concorrente commetta un delitto diverso rispetto a quello originariamente concordato[4].

 

Francia (complicité)
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L’ordinamento francese pone, quale presupposto per la punibilità del concorrente, la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato al quale il partecipe “accede” aiutando l’autore principale, in maniera cosciente e intenzionale, alla realizzazione dello stesso (teoria dell’accessorietà).

Il concorso di persone nel reato (complicité) è normato dagli articoli 121-6 e 121-7 del code pénal.

Il secondo articolo citato stabilisce al primo comma:Est complice d’un crime ou d’un délit la personne qui, sciemment, par aide ou assistance, en a facilité la préparation ou la consommation.”

Secondo la disposizione suddetta il concorrente di un crimine o di un delitto è il soggetto che aiuta o che, prestando assistenza, ne facilita la preparazione o la perpetrazione. Dalla lettura della norma appare chiaro che l’aiuto e l’assistenza devono necessariamente concretizzarsi in azioni determinate e non possono consistere in mere omissioni. Può in tal caso riportarsi – così come già proposto nel paragrafo relativo alla disciplina del concorso di persone all’interno dell’ordinamento penale italiano – l’esempio per cui è concorrente chi fornisce gli strumenti per commettere il reato all’autore principale oppure chi fa il palo ovvero vigili affinché non arrivi qualcuno durante una rapina.

La giurisprudenza francese ha tuttavia precisato che in casi determinati è possibile ravvisare il concorso omissivo nel reato commissivo altrui laddove il soggetto – il partecipe – rivesta una posizione di garanzia ovvero un ruolo che gli impone il dovere di attivarsi al fine di impedire la commissione del fatto e che tuttavia non compie la prescritta azione necessaria.

In merito all’elemento soggettivo, sempre il primo comma dell’articolo 121-7 dispone che il concorrente deve aver prestato aiuto o assistenza scientemente (sciemment) al fine di facilitare la preparazione o la realizzazione del fatto criminoso. In altri termini, come precedentemente approfondito, si richiede che il concorrente abbia partecipato all’azione criminosa consapevolmente e intenzionalmente.

Con riguardo al concorso anomalo, generalmente si imputa al concorrente il reato effettivamente realizzato, diverso da quello originariamente voluto, sulla base del dolo indiretto o eventuale (alternativo o indeterminato), in altri termini: il soggetto sarà punibile come concorrente laddove quest’ultimo si sia rappresentato – abbia dunque preso in considerazione – come eventualità e conseguenza delle proprie azioni, l’evento o gli eventi criminosi non voluti e ciononostante abbia accettato il rischio che gli stessi si verificassero.

La disposizione di cui al secondo comma dell’art. 121-7 stabilisce “est également complice la personne qui par don, promesse, menace, ordre, abus d’autorité ou de pouvoir aura provoqué à une infraction ou donné des instructions pour la commettre.”

La norma da ultimo citata fa riferimento alla figura del “provocatore” o “istigatore”, figura assimilabile al concorrente morale nel reato il quale, attraverso dono, promessa, minaccia, ordine, abuso di autorità o di potere abbia effettivamente influenzato o indotto altri a commettere il fatto criminoso o abbia fornito istruzioni ai fini della sua realizzazione.

L’ordinamento francese non effettua distinzioni relativamente alla punibilità tra l’autore principale e complice. Recita infatti l’articolo 121-6 del codice penale “Sera puni comme auteur le complice de l’infraction, au sens de l’article 121-7.” Il complice è quindi punito come autore  del reato, vale a dire che questi sarà punito anche laddove l’autore principale non sia punibile a causa del verificarsi di specifiche circostanze (ad es. l’autore principale sia deceduto o non sia imputabile). Inoltre, la pena inflitta al partecipe non deve necessariamente corrispondere alla pena comminata all’autore principale. Quest’ultimo potrebbe essere infatti punito con una pena più grave o viceversa potrebbe beneficiare di un più mite trattamento sanzionatorio rispetto al complice. Quanto appena affermato trova il suo addentellato normativo nella stessa disposizione che si sta esaminando per cui “[…] le complice sera puni comme auteur […]” e non comme l’auteur ovvero allo stesso modo dell’autore.

Infine, sembra ormai superfluo ribadirlo, il contributo del partecipe deve essere antecedente o concomitante all’esecuzione del reato e mai successivo.

 

 

Germania (Teilnahme)
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In tema di concorso di persone nel reato, l’ordinamento penale tedesco compie una distinzione tra correità (Mittäterschaft) e partecipazione (Teilnahme). L’art. 25 dello Strafgesetzbuch (codice penale), rubricato Täterschaft (autoria), punisce come autore chi commette il reato in autonomia o tramite un altro soggetto. Qualora il reato venga commesso da più soggetti collettivamente, ciascuno di essi viene punito come autore. La norma in questione descrive la prima modalità attraverso cui può realizzarsi il concorso di persone. Viene fatto riferimento all’autore principale che può commettere il reato anche servendosi di un altro soggetto (autore mediato). Viene quindi prevista la correità laddove il reato venga commesso da più soggetti. In tal caso i concorrenti sono considerati coautori (Mittäter). Perché possa realizzarsi la correità è necessario dunque che i soggetti commettano il reato unitamente, in relazione all’elemento soggettivo sarà necessario che vi sia stato un comune disegno attraverso il quale ciascun concorrente abbia manifestato la volontà di commettere lo stesso reato. Al coautore sono imputate come proprie le condotte degli altri concorrenti anche laddove i contributi da lui forniti siano atipici e diversi rispetto a quelli in concreto realizzati dagli altri, in ogni caso è necessario che egli abbia agito con la volontà di agevolare la realizzazione del fatto criminoso.

L’art. 26 dello Strafgesetzbuch, rubricato Anstiftung (istigazione), prevede la prima forma di partecipazione (Teilnahme). La disposizione punisce, allo stesso modo dell’autore, l’istigatore ovvero chi ha con coscienza e volontà determinato altri soggetti alla commissione dolosa di un fatto costituente reato doloso. Il successivo articolo 27 Beihilfe (complicità) punisce chi intenzionalmente ha prestato assistenza ad altri per la commissione di un reato connotato dall’elemento soggettivo del dolo. La pena per il concorrente è in tal caso determinata in base a quella prevista per l’autore, ridotta secondo quanto previsto dall’articolo 49, comma 1.

Il seguente articolo 28 prende in considerazione particolari caratteristiche personali proprie dell’autore o del partecipe le quali possono aggravare, mitigare o escludere la pena. In particolare, nel caso in cui l’istigatore o il complice non posseggano le caratteristiche che giustificano la punibilità dell’autore, la pena deve per i primi essere diminuita secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 49. Inoltre, se sussistono particolari caratteristiche personali che aggravano, mitigano o escludono la pena per un concorrente, tali caratteristiche non si estendono agli altri ma valgono unicamente per il concorrente cui sono proprie. L’art. 29 dispone che ogni concorrente è punito secondo la propria colpevolezza, senza avere riguardo della colpevolezza degli altri.

Nel caso in cui un concorrente desista volontariamente dall’azione, l’art. 31 pone, ai fini dell’esclusione della sua responsabilità a titolo di concorso, le seguenti condizioni:

1) rinuncia al tentativo di istigare altri alla commissione del reato ed eliminazione del pericolo, se ancora presente, che l’altro possa commettere il reato;

2) dopo aver manifestato la sua intenzione di commettere il reato, vi rinuncia;

3) dopo aver preso accordi per la commissione di un reato o aver accettato la proposta di altri di commettere un reato, ne impedisce la perpetrazione;

4) qualora il reato venga comunque commesso, senza la partecipazione di chi ha desistito e indipendentemente dalla sua precedente condotta, per escludere la responsabilità del desistente è necessario e sufficiente che quest’ultimo si adoperi volontariamente e seriamente per impedire la realizzazione del fatto.

 

 

Fonti

1) G. Fiandaca E. Musco – diritto penale parte generale, Zanichelli, Ed. 2019

2) G. Civello, analisi del leading case Maxwell 1978, dolo di concorso e concorso anomalo (…) – Tratto da L’Ircocervo.it;

3) Accomplice | law | Britannica;

4) A. Grasso – C’è complice e complice (ariannagrasso.com);

5) La praeterintention, tratto da penale.it

6) M. Borghi – Il concorso colposo nel reato colposo e nel reato doloso. Teoria e prassi in Italia e in Germania, tratto da unimi.it;

7) https://www.gesetze-im-internet.de/stgb

 

 

 

 

 

[1] Indictable offences sono delitti contrapposti ai reati meno gravi summary offences. La distinzione è soltanto simile a quella tra delitti e contravvenzioni presente nell’ordinamento italiano. Le indictable offences, delitti più gravi, sono sottoposti in primo grado alla giurisdizione della Crown Court mentre le summary offences sono di competenza delle Magistrates’ Courts.

[2] Vedi accomplice – law – Britannica

[3] Così in: analisi del leading case Maxwell 1978 di G. Civello

[4] Cfr., tra gli altri, caso Powell, 1997.

Stalking

Italia

Nel presente articolo verranno presi in esame il reato di stalking e la disciplina di quest’ultimo all’interno di diversi ordinamenti giuridici europei, verrà inoltre fatto un accenno ad alcune problematiche che l’illecito ha sollevato in relazione ad altri istituti di diritto penale e a diverse fattispecie incriminatrici.

Reato abituale: reiterazione della condotta

Nell’ordinamento penale italiano vi sono alcuni casi in cui affinché possa configurarsi un reato è necessario che una determinata condotta criminosa venga reiterata nel corso del tempo dal soggetto agente. Riguardo a tali ipotesi, spesso, la condotta ripetuta nel tempo è condicio sine qua non per la stessa esistenza della fattispecie, non rilevando penalmente la singola azione. In altri casi, invece, un’unica azione sarà rilevante in quanto fattispecie di reato distinta rispetto alla medesima commessa più volte nel corso del tempo. Le norme incriminatrici che si configurano nella maniera anzidetta sono riconducibili alla categoria dei cosiddetti reati abituali, nelle diverse forme dei reati necessariamente abituali o eventualmente abituali.

L’introduzione all’interno del nostro sistema di tale tipologia di reato viene giustificata dal fatto che sarebbe sproporzionato punire l’artefice di una medesima condotta reiterata nel tempo sulla base dei criteri del concorso materiale di reati[1] laddove, tale condotta, vada a ledere il medesimo bene giuridico. Il reato abituale, così come il reato permanente[2], ha infatti carattere unitario, vale a dire, le diverse condotte sono omogenee e ledono lo stesso bene giuridico.

Il reato di stalking

Indubbiamente, un reato necessariamente abituale, introdotto in epoca relativamente recente – Legge n. 38/2009 – è quello contemplato dall’art. 612 bis c.p. recante il titolo “atti persecutori” e più comunemente conosciuto come “stalking”. La materia è stata oggetto di varie modifiche, in un primo momento attraverso il decreto-legge n. 93/13 che, intervenendo sull’argomento, ha previsto pene più severe per il reato e ha introdotto la punibilità delle condotte prese in esame dalla norma allorquando le stesse vengano commesse attraverso qualsiasi canale telematico come, ad esempio, i social media instagram, facebook e twitter (cyberbullismo/cyberstalking); successivamente è intervenuta la Legge 19 luglio 2019 n. 69, volta a contrastare la violenza domestica, che ha inasprito ulteriormente la pena prevista per il reato di stalking.

La fattispecie di cui all’articolo 612 bis c.p. intende perseguire chi attraverso una condotta reiterata nel tempo, ponendo in essere minacce o molestie, provoca uno stato di ansia, di angoscia o di paura nella vittima oggetto delle vessazioni ovvero ingenera nella stessa un fondato stato di timore per la propria incolumità personale o di un prossimo congiunto o di persona a lei legata affettivamente oppure la costringe a modificare le proprie abitudini di vita.

Leggendo la fattispecie incriminatrice viene da domandarsi il motivo per cui il Legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre un reato attorno al quale orbitano una serie di delitti già contemplati dal codice penale. Vi sono infatti chiari riferimenti a un gruppo di reati contro la libertà personale (molestie e minacce), vi potrebbero rientrare inoltre specifici reati posti a presidio dell’incolumità fisica (le vessazioni potrebbero consistere anche in percosse e lesioni); in aggiunta, la norma, nel fare riferimento alla “modificazione delle abitudini di vita” provocata dalla condotta del soggetto agente, evoca indubbiamente il reato di cui all’art. 610 c.p. (violenza privata). La risposta al quesito di cui sopra va rintracciata nella necessità da parte del Legislatore di punire in maniera più rigorosa i delitti citati nel caso in cui gli stessi vengano reiterati nel tempo, inquadrandoli nella categoria del reato abituale elaborata dalla dottrina, dal momento che gli stessi, prima dell’introduzione della norma, risultavano perseguibili soltanto singolarmente. In altri termini non veniva presa in considerazione la ripetizione delle azioni delittuose nel tempo. Volendo riportare un esempio, si può comprendere come la “semplice minaccia” sia cosa ben diversa rispetto a una serie di minacce ripetute nel tempo che provochino uno degli eventi previsti dall’art. 612 bis c.p.

Il reato di atti persecutori è un reato di evento. Le condotte messe in atto dallo stalker, per essere passibili di sanzione penale, devono infatti causare ansia e angoscia o paura per la propria o altrui incolumità o ancora devono provocare il cambiamento delle abitudini di vita della vittima del reato. Il tentativo è ammissibile qualora gli atti del soggetto agente siano idonei a mettere in pericolo i beni protetti dalla norma e siano non equivoci. Il dolo richiesto in capo al soggetto attivo è generico. Il reato è perseguibile a querela (irrevocabile) della persona offesa.

In ordine agli eventi previsti dalla norma, in particolare allo stato di ansia e di angoscia e alla paura per la propria o altrui incolumità, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate se gli stessi urtassero contro i principi di materialità e di determinatezza che ogni fattispecie incriminatrice deve far propri quali corollari del principio di legalità. Risulta infatti sempre piuttosto arduo verificare empiricamente eventi che si verificano nel foro interno delle persone quali l’ansia, l’angoscia o la paura, condizioni che, d’altra parte, si manifestano in modo indeterminato e aspecifico. Su tale punto in passato ci si interrogava in merito all’evento “della paura per l’altrui incolumità”. In particolare ci si domandava se la vittima, affinché il reato si perfezionasse, dovesse necessariamente avere timore per l’incolumità dei prossimi congiunti o anche il timore per l’incolumità di ogni persona alla quale fosse legata affettivamente potesse ritenersi quale evento idoneo a integrare la fattispecie. Tale questione può reputarsi ormai risolta, stante lo stesso dettato dell’articolo 612 bis c.p. per cui anche il timore per l’incolumità di persona al medesimo legata da relazione affettiva rappresenta evento idoneo a integrare la fattispecie. Tra le persone legate alla vittima di stalking deve essere naturalmente compreso il convivente more uxorio, soprattutto in ragione del fatto che la fattispecie in esame è inquadrata in una tipologia di reato che ha spesso un movente sentimentale, passionale o affettivo. Nella maggioranza dei casi il persecutore è infatti una persona abbandonata dal proprio partner e che non vuole rassegnarsi al fatto che quest’ultimo si sia legato sentimentalmente a un altro soggetto. Spesso lo stalker è un coniuge separato che mette in atto le vessazioni nei confronti dell’altro per tentare di impedire a quest’ultimo una nuova convivenza. In tale ultimo caso è bene sottolineare che il delitto è aggravato.

Il terzo tipo di evento preso in considerazione dall’articolo (modificazione delle abitudini di vita del soggetto passivo), non pone problemi in merito al relativo accertamento in quanto la condizione si manifesta empiricamente. Per accertare l’evento, in questo caso, sarà sufficiente fare una comparazione tra la vita che la persona perseguitata conduceva prima del realizzarsi degli atti persecutori e le abitudini di vita instauratesi dopo il verificarsi degli stessi. In ordine a tale tipo di evento è interessante inoltre notare come esso si identifichi con il cosiddetto danno esistenziale nell’accezione fornita dalla migliore dottrina, per cui è considerato danno esistenziale quello che attiene alla mancanza di possibilità di svolgere attività areddituali realizzatrici della persona umana o alla necessità di doverle svolgerle diversamente e in maniera meno appagante.

Stalking e questioni sollevate in relazione a fattispecie criminose affini.

Già si è accennato alla circostanza per cui nella fattispecie del reato di stalking è possibile intravedere numerosi tipi di illecito penale. Si è indicato che è possibile individuare il reato di molestie, di minacce (inseriti nella stessa norma), di violenza privata, di percosse, di lesioni, ai quali può aggiungersi il delitto che, in altro contesto, costituirebbe il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.. Vi è dunque da chiedersi se tali reati possano essere configurati autonomamente nella condotta dello stalker, applicandosi in tale ottica le norme relative al concorso materiale di reati oppure se in tale ipotesi ci si trovi di fronte a un concorso apparente di norme [3]per cui i reati meno gravi, per il noto principio della consunzione, verranno assorbiti da quello più grave in base all’art. 15 c.p..

Il problema si presenta più complesso di quello che potrebbe apparire a una prima analisi in quanto, tra quelli menzionati, vi sono alcuni reati che rappresentano un minus rispetto al reato di stalking, altri, invece, sono senz’altro più gravi del reato di cui all’art. 612 bis c.p.

Assorbimento del reato di stalking

Premettendo che è da escludere categoricamente il concorso materiale in caso di reati meno gravi, in quanto il disvalore della condotta di minaccia, di molestia e di violenza privata, tutti delitti posti a presidio della libertà personale, verrebbe assorbito nella più grave fattispecie di stalking che presuppone uno di questi reati, il problema si pone piuttosto nello stabilire se nel caso di illeciti sicuramente più gravi, quale quello previsto dal reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., possa configurarsi un concorso materiale di reati oppure, anche in questo caso, vi sia un concorso apparente di norme.

Invero è lo stesso art. 612 bis c.p. che nel suo incipit statuisce “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, per cui è possibile affermare che la condotta tipizzata potrebbe integrare – in altro contesto, quale quello familiare o para-familiare e sussistendone gli specifici presupposti – un reato più grave quale, ad esempio, il reato di maltrattamenti. Come già affermato, le vessazioni potrebbero consistere in minacce, percosse e addirittura in lesioni che danneggiano l’integrità psicofisica della vittima. Inoltre, l’art. 612 bis. c.p. è posto a tutela non solo della libertà personale ma anche dell’incolumità psichica o fisica, più in generale della salute. In tal senso può notarsi come anche gli eventi tipizzati dalla norma, vale a dire l’ansia, l’angoscia o la paura potrebbero sfociare in una vera e propria malattia. L’art. 612 bis c.p., quindi, disciplina la “stessa materia” del reato più grave di maltrattamenti dal quale il reato di stalking verrà assorbito nel caso in cui le vessazioni si traducano in comportamenti, in percosse o lesioni che ledano l’integrità psicofisica della vittima del reato. Anche in questo caso, dunque, non potrà configurarsi un concorso di reati in quanto tra lo stalking e il reato di maltrattamenti vi è un concorso apparente di norme poiché disciplinanti la “stessa materia” ai sensi dell’art. 15 del codice penale.

 

Regno Unito

Il Regno Unito è stato tra i primi Paesi europei ad affrontare il fenomeno dello stalking e ad adottare una disciplina ad hoc per contrastare tutte quelle azioni criminose che in caso di reiterazione non trovavano sufficiente tutela poiché potevano essere punite unicamente le singole condotte, non rilevando l’abitualità delle stesse nel protrarsi del tempo. In altri termini, non era possibile effettuare una reductio ad unum di fatti penalmente rilevanti e reiterati. Anche nel Regno Unito, così come in Italia, prima dell’entrata in vigore del Protection from Harassment Act del 1997, potevano infatti essere perseguiti e puniti unicamente i singoli reati previsti dalle norme incriminatrici esistenti. Si possono citare a titolo esemplificativo i reati di minaccia, percosse, lesioni, ingiuria tramite qualsiasi mezzo e ogni tipo di offesa o molestia.

Il Protection from Harassment Act – così come modificato in seguito, in particolare dal Serious Organised Crime and Police Act del 2005 e dal Protection of Freedoms Act del 2012 – contempla al suo interno norme che puniscono condotte di gravità via via crescente. La legge in questione, all’art. 1, prevede e sanziona, in linea generale, i comportamenti costituenti molestie che provocano angoscia o allarme, come specificato dal successivo art. 7, laddove il soggetto agente è consapevole o dovrebbe essere in grado di rendersi conto – prendendo come parametro di riferimento un uomo medio, dotato di buon senso e in possesso delle stesse informazioni il quale valuterebbe le stesse condotte come molestie – che le condotte che egli pone in essere rappresentano una molestia ai danni di una o più persone. In particolare viene perseguita la condotta del soggetto che, attraverso comportamenti molesti, intende indurre uno o più soggetti a non eseguire azioni che essi potrebbero invece compiere in maniera legittima o che sono obbligati ad eseguire oppure a compiere azioni cui non sono obbligati. Chi si rende responsabile dell’illecito in esame, salvo la presenza di scriminanti è punito con la pena detentiva non superiore a sei mesi o con la multa o con entrambe le sanzioni (art. 2). Il termine stalking è espressamente nominato all’interno dell’art. 2A. Il delitto in questione è integrato quando siano compresenti tutti gli elementi citati e previsti per il reato di molestie, laddove queste ultime si traducano in una vera e propria persecuzione ovvero si concretizzino appunto in “stalking”. La norma in esame elenca una serie di azioni mediante le quali può materializzarsi il reato, tra le altre: pedinare la persona offesa; cercare di contattare ripetutamente la persona con ogni mezzo; monitorarne l’uso di internet, controllarne le e-mail o i messaggi; aggirarsi in luoghi sia pubblici che privati appostando la vittima; osservare o spiare la persona designata. Il soggetto che si renda responsabile del presente reato è punibile con la pena della reclusione per un periodo non superiore alle 51 settimane o con la multa o con entrambe a seconda della gravità delle condotte realizzate. L’art. 4 del Protection from Harassment Act determina poi una fattispecie aggravata di stalking, in grado di ledere maggiormente il bene giuridico tutelato dalla norma. Si tratta di quelle condotte persecutorie che sono in grado di ingenerare nella vittima la paura di subire atti di violenza. L’articolo stabilisce espressamente che affinché il reato possa configurarsi sono necessari almeno due episodi reiterati, idonei a porre la vittima nello stato di temere di subire violenza, mentre nel caso in cui le persone offese siano due o più di due è sufficiente, ai sensi dell’art. 7, anche un solo episodio nei confronti di ciascun soggetto coinvolto. Anche in tale caso la norma pone in rilievo l’elemento soggettivo dell’agente che deve essere consapevole o dovrebbe essere in grado di autovalutare la circostanza per cui la propria condotta è idonea a ingenerare timore o paura in ciascuno degli episodi (avendo come riferimento ideale l’uomo medio, dotato di buon senso e che, in possesso delle stesse informazioni, considererebbe come moleste le condotte poste in essere, ritenendole idonee ad ingenerare la paura di violenza). Nella disposizione sono inoltre inserite le scriminanti atte ad escludere l’antigiuridicità delle condotte. La fattispecie prevista dall’articolo in esame è punita, in caso di condanna con atto formale d’accusa, con la pena detentiva per un periodo non superiore ai dieci anni o con la multa o con entrambe; in caso di procedimento sommario con la reclusione non superiore a sei mesi, o con la multa non superiore al massimo edittale, o con entrambe.

Infine, l’art. 4A prevede la fattispecie in cui lo stalking nei confronti della vittima comporti per quest’ultima un grave stato di angoscia e di allarme. I requisiti soggettivi e oggettivi considerati da tale fattispecie incriminatrice sono gli stessi di quelli citati dalle disposizioni precedenti (sono necessari almeno due episodi perché il reato venga integrato e il soggetto agente deve rendersi conto che la propria condotta produce le conseguenze o l’evento previsto dalla norma) e anche in questo caso sono previste le defence(s) (ovvero le cause di giustificazione in base alle quali l’agente, pur ponendo in essere azioni astrattamente previste dalla norma penale e integranti il reato, viene giustificato dall’ordinamento che, qualora ricorrano determinate circostanze, rende lecita una condotta altrimenti passibile di sanzione penale). L’elemento di novità della fattispecie prevista da quest’ultimo articolo consiste nel fatto che viene introdotto l’evento della modifica sostanziale delle abitudini di vita della vittima, conseguenza del grave allarme e dell’angoscia patiti da quest’ultima a causa delle azioni criminose perpetrate dallo stalker. Le condotte integranti questa fattispecie vengono punite, in caso di condanna con atto formale d’accusa, con la pena detentiva per un periodo non superiore ai dieci anni o con la multa o con entrambe, in base alla gravità; in caso di procedimento sommario con la reclusione non superiore a sei mesi, o con la multa non superiore al massimo edittale, o con entrambe.

 

Francia (il presente paragrafo è stato scritto in epoca antecedente alla modifica dell’art. 222-33-2-2 del code pénal intervenuta nel mese di marzo del 2022 e deve pertanto essere aggiornato).

 

In Francia non esiste ad oggi una legge specifica che disciplini lo stalking, tale istituto non è riconosciuto dal diritto penale francese come fattispecie autonoma e a se stante. Tuttavia, così come avveniva in Italia prima dell’introduzione dell’art. 612 bis c.p., le condotte e i singoli reati attraverso i quali tale fattispecie è commessa, che possono assurgere a manifesto di stalking quali, ad esempio, il reato di minacce, di violenza, di aggressione, di percosse, di violazione della privacy, di molestie tramite web o telefono sono singolarmente sanzionabili. Possono inoltre essere prese in considerazione le disposizioni che inaspriscono le pene, estendendo i mezzi di tutela, per i reati di violenza o maltrattamenti commessi all’interno della coppia e le norme che puniscono, tra le altre, le condotte vessatorie e le molestie reiterate compiute sul luogo di lavoro (harcèlement moral-violenza morale). In particolare si fa riferimento agli articoli 222-33-2-1 e 222-33-2-2 del codice penale francese. Le norme in esame prevedono fattispecie incriminatrici costituenti reati abituali che si concretizzano in osservazioni, parole o comportamenti persecutori lesivi della salute fisica e psichica nonché della dignità della vittima e della sua libertà morale. Tuttavia, ciò che distingue tali reati da quello di stalking consiste nella circostanza per cui, negli articoli menzionati, si fa espressamente riferimento ad atti persecutori o di violenza psicologica che si riversano all’interno del perimetro dell’attività lavorativa. Anche nell’ipotesi in cui le condotte criminose vengano poste in essere nella sfera della vita privata della persona offesa, queste vengono punite nella misura in cui si riverberino negativamente sull’attività lavorativa della vittima. In entrambi i casi si tratta di reati d’evento che però, a differenza dell’evento previsto dall’art.612 bis c.p. – che fa un generico e astratto riferimento all’ansia, all’angoscia, alla paura per la propria o altrui incolumità o al cambiamento delle abitudini di vita della vittima – si riferisce espressamente a un peggioramento delle condizioni di vita della persona offesa allorché lo stesso si traduca in una degradazione delle condizioni di lavoro di quest’ultima oppure nel caso in cui ne venga compromessa l’attività lavorativa e professionale. Le fattispecie incriminatrici prese in esame, per quanto presentino elementi di contiguità con il reato di atti persecutori previsto dall’ordinamento italiano, mirano quindi, più specificamente, a tutelare le vittime di azioni criminose assimilabili al mobbing ovvero a tutelare la dignità della persona offesa all’interno dei luoghi di lavoro. Un raffronto che potrebbe presentare elementi di interesse, considerata la connessione e le sottili linee di demarcazione che caratterizzano le fattispecie criminose del mobbing e dello stalking – e come in precedenza osservato, la vicinanza di quest’ultimo con il reato di maltrattamenti in famiglia, così come previsto dall’ordinamento italiano – è quello rappresentato dalla comparazione tra l’harcèlement moral (violenza morale che incide negativamente sulla capacità lavorativa della vittima del reato) e le condotte abusive e vessatorie riferibili al mobbing, ricavabili dalle norme di diritto italiano. Si possono prendere le mosse da quanto statuito dalla giurisprudenza nostrana. Quest’ultima è intervenuta sulla materia in oggetto evidenziando la contiguità del mobbing con lo stalking (stalking cosiddetto occupazionale) e la configurabilità di quest’ultimo anche in ambienti lavorativi, affermando in particolare che “integra il delitto di atti persecutori la condotta di “mobbing” del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell’ambiente di lavoro, tali da determinare un “vulnus” alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis c.p. (Cass. pen. sez. V, 14/09/2020, nr. 31273). La Suprema Corte ha inoltre stabilito la possibilità che il più grave delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. possa essere consumato in ambito lavorativo attraverso condotte diversamente riferibili al mobbing, in particolare la Corte ha statuito che il reato di cui all’art. 572 c.p. è integrato quando  “le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente capace di assumere una natura para-familiare perché connotato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, da una situazione di soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.”(Cass. Pen, sez. 6, 05/03/2014 nr. 13088). Le analisi, le interconnessioni e i confini labili tra le fattispecie prese in esame nell’ambito del diritto italiano non possono tuttavia essere riproposte in relazione al diritto francese poiché, come osservato in precedenza, non è presente in Francia un reato riconducibile all’art. 612 bis c.p. che possa consentire l’assorbimento o la comunicazione tra le fattispecie relative all’harcèlement moral e il diverso reato di stalking, né tantomeno è possibile, sembra superfluo ma è utile ribadirlo, applicare le disposizioni di cui agli articoli 222-33-2, 222-33-2-1 e 222-33-2-2 del codice penale francese per ricondurvi e punire condotte integranti il reato di stalking, in ossequio al divieto di analogia e al principio di determinatezza e di tassatività delle norme penali. Un’analisi differente, presumibilmente simile, si sarebbe invece potuta condurre laddove la Francia avesse tipizzato e introdotto una fattispecie assimilabile a quella degli atti persecutori come quella, ad esempio, vigente in Canada che ha inserito nel code criminel la disposizione di cui all’art. 264 rubricato harcèlement criminel. L’articolo in questione, al primo comma, fa divieto, salvo la presenza di una scriminante, di porre in essere comportamenti diretti verso una persona, laddove sappia che quest’ultima si senta ripetutamente molestata senza curarsi che la stessa possa sentirsi perseguitata quando le condotte hanno la conseguenza di farle ragionevolmente temere – considerato il contesto – per la propria incolumità o per l’incolumità di chiunque conosca. Il comma 2 dello stesso articolo elenca tassativamente le condotte vietate, tra le quali si annoverano: seguire la vittima o persone di sua conoscenza; comunicare ripetutamente con la vittima; porre in essere comportamenti costituenti minaccia; sorvegliare l’abitazione presso la quale la vittima risiede o lavora.

 

Germania

La Germania ha fornito uno strumento a tutela delle vittime di stalking nell’anno 2007 introducendo nello Strafgesetzbuch (codice penale) l’art. 238 rubricato Nachstellung (pedinamento; persecuzione). Tale norma, nel corso del tempo, è stata oggetto di diverse modifiche, l’ultima avvenuta nel 2021 che, inasprendo la disposizione, ha da un lato previsto pene più elevate per il reato e dall’altro ne ha abbassato la soglia di punibilità al fine di fornire una protezione maggiore e più adeguata alle vittime dell’illecito nonché per rafforzare la tutela del loro diritto all’autodeterminazione e all’integrità psicofisica.

L’art. 1 della disposizione dispone che è punito con la detenzione fino a tre anni o con la pena pecuniaria chiunque, senza norma alcuna che ne giustifichi la condotta, perseguiti un’altra persona in maniera idonea a compromettere in modo non irrilevante le sue abitudini o il suo stile di vita, ponendo in essere in maniera reiterata le condotte tassativamente elencate al primo comma dell’art. 238 che in particolare si concretizzano quando: il soggetto si aggira presso i luoghi dove la persona si trova cercando di avvicinarla; tenta di contattarla attraverso mezzi di comunicazione o altri mezzi o mediante terze persone; utilizzando abusivamente i dati personali della persona, ordina beni o richiede servizi; induce soggetti terzi a contattarla; minaccia l’integrità fisica, la libertà e la salute della vittima o dei membri della sua famiglia o di persone che le sono vicine.

L’elenco delle condotte sanzionate penalmente si amplia ulteriormente in un’ottica di deterrenza, al fine di arginare i reati di cyberstalking/cyberbullismo. A titolo esemplificativo, si punisce la condotta del soggetto che tenta o riesce a ottenere in maniera illecita i dati della vittima, dei suoi parenti o di persone a lei vicine; che diffonde un’immagine della vittima, di un suo parente o di persona a lei vicina o la rende accessibile al pubblico; che divulga foto o contenuti lesivi dell’onore, del decoro e della reputazione della persona ovvero di testi e disegni, anche laddove la paternità degli stessi sia attribuita alla vittima.

Il secondo comma dell’articolo 238 dispone che siano punite in maniera più severa le condotte sopra elencate allorquando le stesse causino più gravi conseguenze. In particolare la Nachstellung è sanzionata con la reclusione da tre mesi a cinque anni nel caso in cui lo stalker, attraverso le condotte persecutorie, cagiona alla vittima, ai parenti della stessa o alle persone che le sono vicine, un danno alla salute; mette a repentaglio la vita della vittima, dei parenti o delle persone che le sono vicine oppure è in grado di causare un danno grave alla loro salute; gli atti persecutori si protraggono per un periodo di almeno sei mesi; lo stalker ha più di ventuno anni e la vittima meno di sedici. Sono inoltre previsti casi di particolare gravità riferibili al “Cyberstalking” ovvero lo stalking commesso attraverso mezzi telematici come, a titolo esemplificativo, instagram, facebook e twitter.

Il comma 3 dell’art. 238 dispone, a chiusura, che se il soggetto agente provoca la morte della vittima, di un suo parente o di persone che le sono vicine è punito con la reclusione da uno a dieci anni.

 

 

 

In merito ai mezzi di tutela (provvedimenti e misure cautelari) approntati per le vittime di stalking si rimanda ad altro e successivo post. 

 

Traduzione termini:

 

Stalking: “l’insieme di comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate, tenuti da una persona nei confronti della propria vittima” (Devoto-Oli Ed. 2008);

 

Reato di stalking = Reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.);

 

Harassment: molestie, vessazioni;

 

Defences: termine traducibile in modi differenti in base al contesto, in tal caso sono stati ritenuti appropriati i traducenti “cause di giustificazione” o “scriminanti”;

 

Harcèlement moral: molestie, violenza psicologica, vessazioni;

 

Harcèlement criminel: molestie, vessazioni, atti persecutori, stalking;

 

 

StGB (Strafgesetzbuch): codice penale della Repubblica federale di Germania;

 

Nachstellung: pedinamento; persecuzione;

 

 

 

 

Fonti:

 

1) Rivista Profiling – I profili dell’abuso – comparazione stalking.pdf

 

2) B. Liberali. Il reato di atti persecutori. Profili costituzionali, applicativi e comparati (2012)

 

3) Stalking: disegno di legge di riforma del 238 StGB | Filodiritto

 

4) Protection from Harassment Act 1997 (legislation.gov.uk)

 

5) Article 222-33-2 – Code pénal – Légifrance (legifrance.gouv.fr)

 

6) § 238 StGB – Einzelnorm (gesetze-im-internet.de)

 

 

[1] Per approfondimenti in merito al concorso di reati vedi Concorso di reati (altalex.com)

[2] Per approfondimenti vedi Reato permanente – Dizionario Giuridico – Brocardi.it

[3] Per approfondimenti in merito al concorso apparente di norme vedi Il concorso apparente di norme (diritto.it)

Italia

La tematica della causa del contratto è stata e continua a essere argomento particolarmente complesso e dibattuto, ha impegnato la dottrina che, nel corso del tempo, ne ha elaborato diverse concezioni e definizioni, talvolta anche molto distanti tra loro, certamente manifestazioni dello “spirito del tempo” in cui tali interpretazioni sono state elaborate. In questo breve articolo si tenterà di cogliere, nel mare magnum della prolifica letteratura in materia, unicamente gli aspetti essenziali che appaiano rilevanti e funzionali ai fini di una sintetica comparazione con gli istituti che presentano una natura relativamente assimilabile a quella espressa dal concetto di causa e rinvenibili all’interno degli ordinamenti inglese, francese e tedesco.

Secondo quanto previsto dall’art. 1325 c.c., la causa è elemento essenziale del contratto. Al fine di compiere un accertamento in merito alla presenza o meno dell’elemento causale all’interno del negozio e della sua liceità è necessario prendere le mosse dalla teoria della causa in concreto contrapposta a quella bettiana. Quest’ultima conduceva infatti alla conseguenza estrema per cui solo un contratto tipico – ovvero tipizzato dal legislatore all’interno di norme di diritto civile, compiendone a priori il vaglio di meritevolezza – potesse avere una causa e che questa fosse lecita e che quindi fosse il solo atto negoziale idoneo a garantire interessi meritevoli di tutela. Si riteneva che in un contratto tipico sarebbe sempre stato presente l’elemento causale e che lo stesso non poteva che considerarsi lecito. Si accoglieva in tal modo la definizione di causa data dal Betti, secondo il quale l’elemento causale doveva essere inteso quale funzione economico-sociale del contratto, funzione già vagliata dal legislatore, che portava all’identificazione della causa del contratto con il tipo contrattuale. A tale impostazione ne seguiva un’altra che da un lato poneva in evidenza i limiti della causa intesa quale funzione economico-sociale del contratto e dall’altro rimarcava i paradossi che comportava l’assimilare la causa con il tipo. Dalla causa intesa quale funzione economico-sociale del negozio si formulava in seguito la teoria che individuava la causa quale ragione pratica o concreta assolta dal negozio, vale a dire la funzione economico-individuale del contratto. In tal senso può considerarsi ormai un dato acquisito che anche in contratti atipici è rinvenibile una causa lecita e che viceversa anche contratti tipici possano essere carenti di causa o aventi causa illecita e che, ancora, possono essere conclusi contratti tipici con causa atipica e viceversa. Il tema dell’elemento causale, oltre ad essere collegato al problema della meritevolezza, si intreccia con quello dell’equilibrio economico del contratto.

Meritevolezza

La causa è espressione dell’autonomia contrattuale delle parti che possono liberamente determinare il contenuto del negozio, anche utilizzando forme contrattuali atipiche, purché siano idonee a realizzare interessi meritevoli di tutela. Il principio di autonomia contrattuale è sancito dall’art. 1322 c.c. (che trova referente costituzionale all’art. 41 Cost.) che ne fissa anche i limiti. Tra i suddetti limiti si annoverano innanzitutto quelli che riguardano la causa del contratto: quest’ultimo, perché possa considerarsi valido, deve avere una causa la cui mancanza comporta la nullità dello stesso. La causa non deve essere illecita. In particolare il contratto non può porsi in contrasto con norme imperative, pena la nullità (art. 1418 c.c.) e le norme imperative cui l’articolo citato si riferisce sono quelle che interessano la struttura del contratto (norme di validità). Tra le diverse cause di nullità del contratto, si prevede, specificamente, l’illiceità della causa.

Equilibrio economico

Partendo dalla nozione di causa quale funzione economico-individuale del contratto (teoria della causa in concreto) si ritiene che al giudice, pur in presenza di un contratto atipico, sia preclusa la possibilità di dichiararne la nullità laddove, a seguito di indagine, ravvisi la ragione pratica del negozio. Il giudice può unicamente sindacare in merito all’equilibrio normativo del contratto[1], equilibrio che può sussistere anche in contratti aventi forma atipica.  Viceversa egli non può sindacare sull’equilibrio economico, non può, in altri termini, in alcun modo compiere un controllo e pronunciarsi sulla sproporzione del negozio quando, ad esempio, esso abbia per oggetto prestazioni troppo onerose per una parte e troppo vantaggiose per l’altra. Nonostante l’esistenza di un contratto iniquo o sproporzionato il giudice non può violare quella che è stata definita “cittadella contrattuale”, mediante un intervento manutentivo sul contratto stesso ed è obbligato a rispettare la volontà delle parti, libere di vincolarsi in maniera iniqua e di eseguire prestazioni sproporzionate. Pertanto appare corretto affermare che se nel contratto si rinviene la causa, questo è valido ed efficace anche quando assolutamente sproporzionato. Difatti, nel caso in cui una delle parti agisca in giudizio per chiedere l’adempimento, anche relativo a una prestazione sproporzionata, il giudice non può bloccarne la pretesa. Egli non può sindacare d’ufficio sul comportamento delle parti anche quando quest’ultimo appaia contrario a norme relative al dovere di correttezza e buona fede (artt. 2 Cost. – 1175 c.c., 1375 c.c.). Si può concludere dunque che, in linea generale, l’ordinamento civile italiano non sanziona il contratto sproporzionato consentendo al giudice di bloccare la pretesa della parte che domandi la sua esecuzione. Una volta che le parti abbiano prestato il consenso non viziato alla stipulazione, la legge tutela la loro volontà. Le parti sono libere di vincolarsi a prestazioni inique e l’unico modo per sciogliersi dal vincolo è rappresentato dalla dimostrazione in giudizio che la loro volontà era viziata nel momento in cui prestavano il consenso, domandando una pronuncia costitutiva che annulli il contratto ex art. 1441 c.c. o ricorrendo all’art. art. 1448 (rescissione) o al dispositivo dell’art. 1467 (risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta).

Soltanto nel caso in cui la causa manchi completamente ovvero quando il contratto abbia una funzione contraria a norme imperative, questo può considerarsi nullo e il giudice può rilevarne d’ufficio la nullità pur con i limiti previsti dagli artt. 99 e 112 c.p.c.

Eccezioni

Si è detto che la violazione di norme imperative che prevedono regole di comportamento non sono in grado di determinare la nullità del negozio. La giurisprudenza ha avuto modo, in diverse occasioni, di affermare che la nullità del contratto è determinata dalla violazione di quelle norme imperative che contengono disposizioni inerenti alla struttura del negozio e non di quelle che prescrivono comportamenti.  Occorre d’altra parte evidenziare che, in alcuni specifici casi, l’ordinamento prevede testualmente la nullità per la violazione di doveri latu sensu comportamentali e per clausole che incidono sull’equilibrio economico, questo al fine di tutelare il contraente debole con l’intento di sanzionare il comportamento abusivo da parte di operatori economici a scapito di altri in posizione di svantaggio o debolezza. Si fa in particolare riferimento alla Legge 18 giugno 1198 n.192 e alle disposizioni previste dal “Codice del consumo” che però seguono un regime peculiare e diverso rispetto a quello disciplinato dagli artt. 1418 e seguenti del codice civile. Le nullità in oggetto sono nullità cosiddette di protezione, poste cioè a tutela di interessi individuali e per questo motivo possono essere fatte valere esclusivamente dal soggetto contraente che potrebbe avere interesse alla conservazione del negozio giuridico anche laddove lo stesso fosse economicamente squilibrato. Vero è che il codice del consumo nel prevedere all’art. 33 le clausole vessatorie e comminandone la nullità nel successivo art. 36 statuisce che tale nullità è rilevabile d’ufficio, tuttavia, posto che tali disposizioni sono poste a vantaggio del contraente debole, il giudice dovrebbe indagare se vi sia o meno la volontà del consumatore di mantenere in vita la pattuizione piuttosto che invalidarla. Nel caso in cui il contraente debole esprima l’intenzione di tenere in vita il contratto iniquo, il giudice non potrebbe pertanto rilevarne la nullità.

Di contro, l’ordinamento prevede la possibilità di rilevare d’ufficio e dichiarare la nullità del contratto sperequato solo laddove la norma non miri unicamente a proteggere gli interessi del contraente in posizione di svantaggio ma sia posta piuttosto a tutela di interessi sovraindividuali. A tal proposito può menzionarsi l’art. 9 della L. 18/06/1998 n.192 recante il titolo “abuso di dipendenza economica”. La nullità prevista dall’articolo non è comminata soltanto al fine di tutelare il contraente debole bensì è prevista a protezione dell’interesse sovraindividuale della concorrenza così come può evincersi dal punto 3 – bis della legge citata.

Regno Unito

Nel diritto inglese non vi è una definizione univoca di contratto, la nozione infatti varia in base alle diverse opinioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza nonché in base alle specifiche operazioni contrattuali di volta in volta poste in essere dai contraenti. In questa sede, trattando del contratto in relazione allo specifico elemento della consideration, si dovranno prendere le mosse dalla definizione fornita da Atiyah, secondo il quale il nucleo fondamentale del contratto è il bargain ovvero “una negoziazione tra le parti in grado di produrre un agreement (accordo) avente come oggetto uno scambio di promesse (consideration) e suscettibile di valutazione economica[2].”. Il diritto inglese prescrive, quale condizione per l’esistenza stessa del contratto, la necessità che la negoziazione abbia come risultato un accordo che preveda uno scambio di prestazioni e che tale scambio sia suscettibile di valutazione economica. La consideration, che pure sembrerebbe indicare gli interessi (meritevoli di tutela) che le parti intendono perseguire attraverso l’operazione contrattuale ovvero la funzione economica del contratto (rectius: la causa del contratto) non è però traducibile attraverso tale ultimo termine poichè tra i due concetti sussistono rilevanti differenze, stante la loro diversa natura e la divergente disciplina prevista dalle disposizioni dei rispettivi ordinamenti giuridici. La parola consideration è infatti tradotta in italiano con una varietà di termini quali controprestazione, sinallagma, scambio, corrispettivo. In base alla tesi di Atiyah, così come riportata da M. Tupponi, la consideration, elemento fondamentale del contratto, è costituita da due componenti: “1) il beneficio che si deve dare in cambio al promittente e 2) l’affidamento del promissario, la cui elusione deve portarlo in una posizione deteriore rispetto a quella che avrebbe avuto se la promessa non fosse mai stata fatta[3]inoltre “una valida consideration, in senso giuridico, può consistere o in un diritto, interesse, profitto o beneficio derivante ad una parte, o in un’astensione, pregiudizio, perdita o responsabilità, data, sofferta o assunta dall’altra.” Confrontando la nozione e la disciplina della consideration di diritto inglese e quella di causa del contratto, così come prevista dal diritto italiano, può rilevarsi qualche elemento di contiguità e svariate differenze che ne impediscono la sovrapposizione. In maniera analoga a quanto avviene nel diritto italiano, specie dopo l’accoglimento della teoria della causa in concreto, è precluso alle corti di indagare sull’equilibrio economico ovvero sull’adeguatezza o sulla proporzionalità delle prestazioni dedotte in contratto. Nel diritto inglese tale principio è rappresentato in maniera plastica dalla cosiddetta “peppercorn theory” per cui la proporzione o l’adeguatezza delle prestazioni è irrilevante per stabilire l’esistenza o la mancanza della consideration. La controprestazione deve di sicuro avere un valore reale o almeno rappresentare uno svantaggio per chi la esegue, tuttavia non deve essere adeguata. Il principio in esame ha dato origine ad alcune particolari decisioni. Si può portare come esempio la decisione per cui gli involucri delle barrette di cioccolato, prive di intrinseco valore economico, sono stati ritenuti sufficienti a costituire valida consideration (vedi Chappell and Co v Nestle Ltd).

In merito alle differenze, così come individuate da autorevole dottrina[4], tra causa e consideration che non permettono una sovrapposizione o assimilazione dei due concetti con la conseguenza dell’intraducibilità del termine consideration con quello di causa, ci si limita, in questa sede, a ricordare le seguenti:

1) Per ogni singolo contratto disciplinato secondo le disposizioni del diritto civile italiano, la causa è unica per entrambi i contraenti, viceversa, nel negozio giuridico bilaterale di diritto inglese si rilevano sempre due consideration(s) legate da un nesso di reciprocità – costituente il sinallagma – che rende corrispettiva la prestazione rispetto alla controprestazione;

2) La mancanza o l’illiceità della causa comportano secondo gli articoli 1418 e 1325 del codice civile la nullità del contratto laddove nel diritto inglese gli stessi vizi precludono l’esistenza stessa del contratto che verrà considerato tamquam non esset. La categoria giuridica di inesistenza – secondo elaborazione della dottrina italiana – si distanzia dalla nozione di nullità. La prima si riferisce infatti ad atti che non presentano gli elementi minimi ed essenziali affinché gli stessi possano essere identificati quali contratti e che, secondo la stessa dottrina, “sono inidonei a produrre anche quei limitati effetti che sono prodotti dall’atto nullo[5].”.   

 

Francia

Discorso del tutto diverso relativamente all’argomento in questione meritano la Francia e la Germania. In particolare, nel primo dei Paesi citati si è assistito, con la riforma del diritto contrattuale entrata in vigore il primo ottobre 2016, al compimento della tendenza in corso ovvero quella di apportare modifiche e di ammodernare il code civil al fine di rendere il diritto francese più rispondente alle esigenze globali di armonizzazione e di unificazione, anche in base alle disposizioni contenute nei Principi Unidroit nonché alla direttiva CE del 1999 sulle vendite e alla CISG che hanno portato a una riforma più generale del diritto contrattuale francese. Tra le altre modifiche è opportuno, in questa sede, menzionare specificamente quella che ha previsto l’eliminazione dell’elemento essenziale della cause del contratto quale requisito per la sua validità che non è più presente all’interno dell’art. 1128 c.c. (vecchio articolo 1108). Nell’ordinamento francese il concetto di causa era molto simile a quello assunto nel diritto italiano, per cui la causa è la funzione economico-sociale del contratto o per utilizzare la definizione di altro autore la “giustificazione di esso nei confronti dell’ordinamento giuridico”[6] o ancora lo strumento di controllo politico sull’autonomia privata. Così come anche previsto dall’ordinamento italiano, il code civil vigente prima della riforma, comminava la nullità per un contratto privo di causa o avente causa illecita. In ogni caso, l’espunzione dell’elemento causale quale requisito per la validità del contratto ai sensi del previgente art. 1108 c.c. non è in grado di precludere il vaglio e il controllo da parte dell’ordinamento in merito alla meritevolezza e liceità degli interessi che i contraenti intendono realizzare attraverso il regolamento contrattuale. Sopperiscono in tal senso i nuovi articoli 1128, 1162 e 1169. Il primo articolo prevede infatti al 3° comma che affinché un contratto sia valido è necessario che abbia “un contenu licite” ovvero un oggetto lecito mentre l’art. 1162 statuisce che “le contrat ne peut déroger à l’ordre public […] ni par son but […]” ovvero abbia un fine che non contrasti con norme d’ordine pubblico. Infine, ai sensi dell’art. 1169 “un contrat à titre onéreux est nul lorsque […] la contrepartie convenue au profit […] est illusoire ou dérisoire” (un contratto a titolo oneroso è nullo se la controprestazione non ha valore né pregio).

Germania

Nell’ordinamento giuridico tedesco non è possibile rinvenire definizioni o nozioni riferibili alla causa o alla consideration. Sono tuttavia presenti alcune disposizioni, in particolare quelle contenute all’art. 138 BGB (codice civile) che prevedono la nullità del contratto sperequato, nello specifico l’articolo citato stabilisce a) che un negozio giuridico contrario ai boni mores (gute Sitten) è nullo e b) in particolare prevede la nullità di quei negozi giuridici mediante i quali una parte, approfittandosi dello stato di debolezza dell’altra, del suo stato di bisogno o della carente capacità di giudizio o minorata capacità psichica, stipuli un negozio a condizioni notevolmente sproporzionate e vantaggiose per se stesso o per un terzo, rispetto alla controprestazione del contraente debole. La lettura di tale norma consente di effettuare un’ultima osservazione, vale a dire, l’ordinamento tedesco, a differenza di quello italiano, sanziona con la nullità contratti la cui patologia è riferibile ai vizi nella formazione della volontà che hanno indotto una parte a concludere un contratto economicamente svantaggioso e con prestazioni sproporzionate. La norma, infatti, a parere di chi scrive, riecheggia la disposizione di cui all’art. 1448 del codice civile italiano per cui “se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.”. 

Traduzione termini:

Consideration – controprestazione, corrispettivo, sinallagma, scambio;

Bargain – nel linguaggio relativo al diritto dei contratti consiste nel patto tra le parti in grado di produrre un agreement (accordo) avente come oggetto uno scambio di promesse;

Peppercorn theory – letteralmente “teoria del grano di pepe”, si riferisce all’essenzialità della consideration all’interno del contratto. La controprestazione deve essere sempre presente a prescindere dal valore economico della stessa, potendo consistere anche in un grano di pepe.

BGB – Bürgerliches Gesetzbuch – codice civile della Repubblica federale di Germania;

Gute Sitten – buon costume o moralità pubblica

 

Fonti:

1) Sistemi Giuridici Comparati Università degli Studi di Genova – docsity-appunti-su-causa-e-consideration.pdf;

2) Chappell and Co v Nestle Ltd (lawteacher.net);

3) C. A. Pulejo – Causa, meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale.

 

[1] Per approfondimenti in merito alla differenza tra equilibrio normativo ed equilibrio economico vedi Equilibrio e squilibrio economico e normativo nel contratto, con particolare riferimento alle clausole vessatorie | Filodiritto

[2] Galgano F. – Atlante di diritto privato comparato

[3] M. Tupponi – Manuale di diritto commerciale internazionale, seconda edizione, pag. 26

[4] Per ulteriori approfondimenti vedi G. Gorla, enciclopedia del diritto, 1961

[5] Inesistenza. Diritto civile nell’Enciclopedia Treccani

[6] Vedi Causa del contratto (altalex.com)

Costituzioni scritte e non scritte,  produzione e revisione costituzionale.

Cos’è una Costituzione?

All’interno dell’ordinamento giuridico di ogni Stato di diritto si rinvengono una classificazione e una gerarchia delle fonti al vertice delle quali si pone la Costituzione. Tale atto normativo fissa i valori e i principi fondanti di uno Stato, regola e definisce la sua struttura nonché il funzionamento dell’apparato pubblico, la cui attività non può porsi in contrasto con i precetti costituzionali. Ogni carta costituzionale è definibile quale legge suprema dell’ordinamento che delimita i confini legali entro i quali possono e devono manifestarsi l’attività di indirizzo politico, il potere legislativo, la funzione governativa, quindi i provvedimenti amministrativi, diretta emanazione dell’esecutivo tenuto all’osservanza di leggi che non possono risultare in conflitto con la Costituzione, pena la declaratoria di illegittimità costituzionale. I valori primari sanciti e tutelati dalla Costituzione sono espressione di principi cardine che si sostanziano nella tutela dei diritti fondamentali della persona, del lavoro, della dignità, della libertà e dell’uguaglianza, della democrazia, dell’etica, della legalità.

Tra le varie distinzioni che si possono rilevare riguardo alle tipologie di costituzioni esistenti, quella su cui in questa sede ci si vuole soffermare è la differenza tra le:

costituzioni scritte;

costituzioni non scritte o consuetudinarie.

La distinzione tra costituzione scritta e consuetudinaria o orale si basa principalmente sulla presenza o meno di un testo codificato cui possa farsi riferimento. Le costituzioni consuetudinarie nascono – elemento oggettivo – dalla ripetizione costante e uniforme del comportamento nel tempo (diuturnitas) e – elemento soggettivo – dalla convinzione che quel comportamento sia moralmente obbligatorio o che sia necessario che lo diventi (opinio juris ac necessitatis).

Il distinguo in questione non assume tuttavia oggi cruciale importanza dal momento che – salvo rare eccezioni – la stragrande maggioranza delle costituzioni sono scritte a garanzia della certezza del diritto e al fine di rendere le norme costituzionali distinguibili dalle leggi ordinarie.

Italia

La Costituzione italiana è una costituzione scritta, contenuta in un testo adottato nella fase costituente, composta da 139 articoli, divisi in quattro sezioni: principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini, ordinamento della Repubblica e disposizioni transitorie e finali. Tale assetto implica che la Costituzione italiana assicuri maggiore stabilità e certezza del diritto, garantiti entrambi dal più gravoso procedimento, ex art. 138 Cost., nel caso si volesse modificarne il testo. Per tale motivo la Costituzione italiana è considerata una costituzione rigida.

Regno Unito

Il Regno Unito è l’unico Paese in Europa a non avere una costituzione scritta, la stessa è infatti costituita principalmente da consuetudini accanto a leggi di natura costituzionale.

A differenza di quella italiana, la Costituzione flessibile e consuetudinaria del Regno Unito si adatterà in maniera fluida e immediata ai mutamenti sociopolitici.

Affermare che una Costituzione come quella del Regno Unito è una costituzione non scritta, non vuol dire tuttavia che norme di rango costituzionale non siano rinvenibili in documenti scritti, significa unicamente che le suddette norme non sono formulate in maniera solenne all’interno di un singolo documento oppure che, nonostante tali leggi siano redatte nella forma più autorevole, queste ultime sono incluse in atti differenti e spesso inserite insieme a leggi ordinarie.  Le norme costituzionali infatti si rinvengono in trattati, statuti, decisioni giurisprudenziali e in fonti di natura consuetudinaria come le convenzioni costituzionali del parlamento e le prerogative reali.

 

Fonti costituzionali del Regno Unito:

Statutes: Magna Carta, Act of Settlement, Human Rights Act 1998, Parliament Acts 1911-1949;

Case law;

Conventions.

 

Francia

La Constitution française è una Costituzione scritta, entrata in vigore il 4 ottobre 1958 e contiene principalmente articoli che organizzano le istituzioni francesi.

diritti fondamentali sono incorporati indirettamente nel preambolo, mediante riferimento alla Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789 confermata e integrata dal preambolo della Costituzione del 1946 . Norme di rango costituzionale sono anche quelle contenute all’interno della Charte de l’environnement de 2004.

 

Germania

La Legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania del 1949 (Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland) è anch’essa una costituzione scritta. Tale Carta fondamentale avrebbe dovuto rivestire carattere transitorio, entrò in vigore solo nella Germania Ovest; venne considerata provvisoria in attesa della riunificazione tedesca. In ragione di tale aspetto venne definita Legge fondamentale e non Costituzione (Verfassung). Tuttavia, al momento della riunificazione, non venne eletta alcuna assemblea costituente ai fini della promulgazione della Costituzione unitaria e dell’abrogazione della temporanea Grundgesetz. Si scelse al contrario di estendere la validità di quest’ultima all’intera Germania modificando l’art. 146, che attualmente sancisce: “La presente Legge fondamentale che, dopo il compimento dell’unità e della libertà della Germania, vale per l’intero popolo tedesco, …”.

 

Si può concludere che la Costituzione non contenuta all’interno di un singolo atto – in altri termini non compresa in un unico testo – rappresenta un’eccezione, come nel caso del Regno Unito. La stragrande maggioranza degli stati ha alla base del proprio ordinamento una costituzione scritta. D’altro canto, all’interno di ciascun sistema giuridico è possibile rinvenire principi e norme costituzionali anche al di fuori dei testi codificati. Nel Regno Unito, le leggi emanate dal parlamento a maggioranza dei suoi membri hanno valore costituzionale, pertanto non risulta ravvisabile differenza alcuna tra legge ordinaria e legge di rango costituzionale. Per la medesima ragione la promulgazione o la riforma di una legge costituzionale non richiede alcun procedimento aggravato, così come avviene in base alle previsioni degli altri ordinamenti citati.

 

Produzione e revisione costituzionale

Italia

In Italia sono presenti due tipologie di norme che assumono rango costituzionale ovvero le leggi di revisione costituzionale e le leggi costituzionali. Le prime modificano il testo della Costituzione mentre le seconde mirano a integrarlo. A prescindere dalla tipologia, la loro entrata in vigore è subordinata a un procedimento aggravato secondo quanto previsto dall’art. 138 Cost. che prescrive un iter di formazione più complesso rispetto a quello previsto per le leggi ordinarie.

In particolare la disposizione statuisce: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” L’art. 139 Cost. stabilisce esplicitamente il limite per cui la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

 

Regno Unito

Come sopraesposto, il Regno Unito è invece caratterizzato da una Costituzione flessibile, non scritta all’interno di un unico documento formale bensì risultante da un insieme di leggi, convenzioni e decisioni giurisdizionali, che si sono sovrapposti nel corso dei secoli.

Un sistema con tali caratteristiche peculiari, comporta che con specifico riferimento al procedimento di revisione costituzionale non ci si debba richiamare ad alcuna procedura aggravata rispetto ai normali iter legislativi previsti per le leggi ordinarie, con il solo limite del rispetto della gerarchia delle fonti: la fonte normativa prevale su quella consuetudinaria e su quella giurisdizionale, mentre quella consuetudinaria non possiede forza riformatrice o abrogativa nei confronti delle altre due classi di fonti.

Un assetto di questo tipo, palesemente ispirato dal pragmatismo britannico, riassumibile nella frase di J.A.G. Griffith “the constitution is what happen, if it works it is constitutional”, basato sulla massima flessibilità, favorisce maggiormente l’adattamento costituzionale ai continui cambiamenti della società.

Se è vero che le norme di rango costituzionale possono essere riformate dal Parlamento nel medesimo modo in cui vengono modificate le leggi ordinarie statali e i tribunali ordinari possono innovare e modificare le previsioni costituzionali allo stesso modo delle norme giuridiche ordinarie, entro i criteri del precedente giudiziario, esistono tuttavia delle eccezioni.

In particolare la procedura legislativa ai sensi dei Parliament Act del 1911 e del 1949 non può essere adoperata per estendere la durata della legislatura oltre i cinque anni previsti, pertanto quest’ultima risulta essere una disposizione costituzionale che può considerarsi consolidata.

Il Parlamento del Regno Unito, infatti, non prolungherebbe la propria esistenza mediante l’approvazione di una legge, per favorire gli interessi di un determinato Governo oppure di un partito. Tale circostanza non si verificherebbe, sia in considerazione della contrarietà che incontrerebbe presso l’opinione pubblica un provvedimento di questo tipo, sia per il ruolo che rivestirebbe il rispetto delle convenzioni costituzionali che consentono l’estensione della legislatura solo per preminenti ragioni di interesse nazionale come nel caso dello stato di guerra.

È necessario anche ricordare che sono in vigore specifiche norme di legge finalizzate a bloccare abusi da parte della maggioranza parlamentare.

Inoltre, vi sono opinioni secondo cui dovrebbe essere effettuata una distinzione tra leggi costituzionali e leggi ordinarie e che le prime potrebbero essere abrogate solo in maniera espressa. Le leggi di rango costituzionale riguardano il rapporto tra il cittadino e lo stato in maniera generale, espandono o restringono i diritti costituzionali fondamentali.

 

Francia

In Francia il procedimento di riforma costituzionale è previsto dall’art. 89 della Costituzione del 4 ottobre 1958. L’iniziativa spetta sia al Presidente della Repubblica, su proposta del Primo ministro, sia ai membri del Parlamento.

In base al soggetto promotore dell’iniziativa di revisione costituzionale, il progetto si sostanzierà nel projet de loi constitutionelle nel caso in cui venga presentato dal Presidente della Repubblica, se il progetto in questione viene invece introdotto da un parlamentare si configurerà come proposition de loi constitutionnelle.

Le proposte e i progetti di revisione costituzionale prevedono un iter aggravato che si snoda attraverso una procedura di particolare complessità.

L’art. 89 stabilisce “Il progetto o la proposta di revisione deve essere esaminato alle condizioni e entro i termini stabiliti al terzo comma dell’articolo 42 e votato in termini identici dalle due assemblee. La revisione è definitiva dopo essere stata approvata con referendum. Tuttavia, il progetto di revisione non è sottoposto a referendum quando il Presidente della Repubblica decide di sottoporlo al Parlamento convocato in seduta comune; in tal caso, il progetto di revisione è approvato solo se ottiene la maggioranza dei tre quinti dei voti espressi. L’Ufficio di Presidenza del Parlamento in seduta comune è quello dell’Assemblea nazionale.”

Anche la Costituzione francese determina i casi in ordine ai quali è preclusa la possibilità di revisione costituzionale. Due di questi, in particolare, sono previsti all’interno dello stesso articolo 89 che non consente, nello specifico, di modificare la Carta fondamentale laddove tale riforma comporti un attentato all’integrità territoriale della Francia, disponendo inoltre che la forma di governo repubblicana non può costituire oggetto di revisione.

 

Germania

In Germania l’approvazione di modifiche costituzionali è prevista dall’art. 79 della Grundgesetz, gli organi costituzionali interessati, il Bundestag e il Bundesrat, nonché la procedura sono i medesimi stabiliti per le leggi federali ordinarie (Zustimmungsgesetze), per le quali è necessario l’avallo di entrambi i rami del Parlamento. La differenza è rappresentata dal fatto che la legge di revisione costituzionale esige l’approvazione da parte delle Camere con maggioranza qualificata dei due terzi dei membri di ciascun ramo del Parlamento. L’articolo in esame contempla inoltre i limiti al potere di revisione costituzionale, sancisce infatti che non sono consentite riforme che incidano sull’organizzazione dell’apparato statale federale in Länder, sulla partecipazione di questi ultimi al procedimento normativo o sull’intangibilità dei principi sanciti dagli articoli 1 e 20 della Legge fondamentale, riguardanti valori primari quali la protezione della dignità umana e i principi strutturali relativi alla democrazia, alla repubblica, allo Stato di diritto; previsioni inserite a garanzia e monito nell’ottica del superamento di quella che era stata la drammatica esperienza del nazionalsocialismo . Questa previsione contiene la c.d. “clausola di eternità” (Ewigkeitsklausel), quest’ultima non può essere abrogata risultando pertanto una norma intangibile. In particolare non possono costituire oggetto di revisione costituzionale: oltre alla citata tutela della dignità e dei diritti umani come principio cardine di ogni comunità di individui (articolo 1), la soggezione del potere statale al rispetto dei tali diritti (articolo 1), il principio dello Stato federale e della forma di governo repubblicana (articolo 20), il principio della sovranità popolare e quello della separazione dei poteri (articolo 20).

 

 

Traduzione termini:

Constitution: Costituzione

Statutes: Leggi – Statuti

Magna Carta: Magna Carta;

Act of Settlement: Atto di disposizione;

Human Rights Act 1998: Legge sui diritti umani del 1998;

Parliament Acts 1911-1949: Leggi del Parlamento del 1911 e del 1949;

Case law: giurisprudenza – decisioni giurisprudenziali;

Conventions: Convenzioni (costituzionali) consuetudini;

 

Constitution française du 4 octobre 1958: Costituzione francese del 4 ottobre 1958;

Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789 : Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789;

Préambule de la Constitution de 1946: Preambolo della Costituzione del 1946;

La Charte de l’environnement de 2004 : Carta ambientale del 2004;

Projet de loi constitutionnelle : Progetto di revisione costituzionale;

Proposition de loi constitutionnelle : Proposta di revisione costituzionale;

 

Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland: Legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania;

Verfassung: Costituzione;

Bundestag: Camera federale;

Bundesrat: Consiglio federale, è la Camera degli stati federali (Länder)

Zustimmungsgesetz: Legge con vaglio e approvazione di entrambe le camere;

Ewigkeitsklausel: Clausola di eternità

 

Fonti:

1) F. del Giudice – Nozioni di Diritto Comparato – Ed. 2007;

2) Wikipedia- https://it.wikipedia.org/wiki/Costituzione_del_Regno_Unito;

3) Andrea Torrente – Manuale Di Diritto Privato;

4) F. Bezzi – Relazione – Le procedure di revisione costituzionale;

5) Raymond Youngs – English, French & German Comparative Law – Terza edizione;

6) A. Osti – Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti – N.00 del 02.07.2010;

7) C. Martinelli – astrid-online.it – Elezioni e procedimenti elettorali in Gran Bretagna;

8) Costituzione della Repubblica Italiana;

9) Costituzione francese – https://www.conseil-constitutionnel.fr/sites/default/files/as/root/bank_mm/site_italien/constitution_italien.pdf

10) Camera dei deputati – LEGISLAZIONE STRANIERA – Materiali di legislazione comparata – http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/mlc17005.htm

 

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