Italia

La tematica della causa del contratto è stata e continua a essere argomento particolarmente complesso e dibattuto, ha impegnato la dottrina che, nel corso del tempo, ne ha elaborato diverse concezioni e definizioni, talvolta anche molto distanti tra loro, certamente manifestazioni dello “spirito del tempo” in cui tali interpretazioni sono state elaborate. In questo breve articolo si tenterà di cogliere, nel mare magnum della prolifica letteratura in materia, unicamente gli aspetti essenziali che appaiano rilevanti e funzionali ai fini di una sintetica comparazione con gli istituti che presentano una natura relativamente assimilabile a quella espressa dal concetto di causa e rinvenibili all’interno degli ordinamenti inglese, francese e tedesco.

Secondo quanto previsto dall’art. 1325 c.c., la causa è elemento essenziale del contratto. Al fine di compiere un accertamento in merito alla presenza o meno dell’elemento causale all’interno del negozio e della sua liceità è necessario prendere le mosse dalla teoria della causa in concreto contrapposta a quella bettiana. Quest’ultima conduceva infatti alla conseguenza estrema per cui solo un contratto tipico – ovvero tipizzato dal legislatore all’interno di norme di diritto civile, compiendone a priori il vaglio di meritevolezza – potesse avere una causa e che questa fosse lecita e che quindi fosse il solo atto negoziale idoneo a garantire interessi meritevoli di tutela. Si riteneva che in un contratto tipico sarebbe sempre stato presente l’elemento causale e che lo stesso non poteva che considerarsi lecito. Si accoglieva in tal modo la definizione di causa data dal Betti, secondo il quale l’elemento causale doveva essere inteso quale funzione economico-sociale del contratto, funzione già vagliata dal legislatore, che portava all’identificazione della causa del contratto con il tipo contrattuale. A tale impostazione ne seguiva un’altra che da un lato poneva in evidenza i limiti della causa intesa quale funzione economico-sociale del contratto e dall’altro rimarcava i paradossi che comportava l’assimilare la causa con il tipo. Dalla causa intesa quale funzione economico-sociale del negozio si formulava in seguito la teoria che individuava la causa quale ragione pratica o concreta assolta dal negozio, vale a dire la funzione economico-individuale del contratto. In tal senso può considerarsi ormai un dato acquisito che anche in contratti atipici è rinvenibile una causa lecita e che viceversa anche contratti tipici possano essere carenti di causa o aventi causa illecita e che, ancora, possono essere conclusi contratti tipici con causa atipica e viceversa. Il tema dell’elemento causale, oltre ad essere collegato al problema della meritevolezza, si intreccia con quello dell’equilibrio economico del contratto.

Meritevolezza

La causa è espressione dell’autonomia contrattuale delle parti che possono liberamente determinare il contenuto del negozio, anche utilizzando forme contrattuali atipiche, purché siano idonee a realizzare interessi meritevoli di tutela. Il principio di autonomia contrattuale è sancito dall’art. 1322 c.c. (che trova referente costituzionale all’art. 41 Cost.) che ne fissa anche i limiti. Tra i suddetti limiti si annoverano innanzitutto quelli che riguardano la causa del contratto: quest’ultimo, perché possa considerarsi valido, deve avere una causa la cui mancanza comporta la nullità dello stesso. La causa non deve essere illecita. In particolare il contratto non può porsi in contrasto con norme imperative, pena la nullità (art. 1418 c.c.) e le norme imperative cui l’articolo citato si riferisce sono quelle che interessano la struttura del contratto (norme di validità). Tra le diverse cause di nullità del contratto, si prevede, specificamente, l’illiceità della causa.

Equilibrio economico

Partendo dalla nozione di causa quale funzione economico-individuale del contratto (teoria della causa in concreto) si ritiene che al giudice, pur in presenza di un contratto atipico, sia preclusa la possibilità di dichiararne la nullità laddove, a seguito di indagine, ravvisi la ragione pratica del negozio. Il giudice può unicamente sindacare in merito all’equilibrio normativo del contratto[1], equilibrio che può sussistere anche in contratti aventi forma atipica.  Viceversa egli non può sindacare sull’equilibrio economico, non può, in altri termini, in alcun modo compiere un controllo e pronunciarsi sulla sproporzione del negozio quando, ad esempio, esso abbia per oggetto prestazioni troppo onerose per una parte e troppo vantaggiose per l’altra. Nonostante l’esistenza di un contratto iniquo o sproporzionato il giudice non può violare quella che è stata definita “cittadella contrattuale”, mediante un intervento manutentivo sul contratto stesso ed è obbligato a rispettare la volontà delle parti, libere di vincolarsi in maniera iniqua e di eseguire prestazioni sproporzionate. Pertanto appare corretto affermare che se nel contratto si rinviene la causa, questo è valido ed efficace anche quando assolutamente sproporzionato. Difatti, nel caso in cui una delle parti agisca in giudizio per chiedere l’adempimento, anche relativo a una prestazione sproporzionata, il giudice non può bloccarne la pretesa. Egli non può sindacare d’ufficio sul comportamento delle parti anche quando quest’ultimo appaia contrario a norme relative al dovere di correttezza e buona fede (artt. 2 Cost. – 1175 c.c., 1375 c.c.). Si può concludere dunque che, in linea generale, l’ordinamento civile italiano non sanziona il contratto sproporzionato consentendo al giudice di bloccare la pretesa della parte che domandi la sua esecuzione. Una volta che le parti abbiano prestato il consenso non viziato alla stipulazione, la legge tutela la loro volontà. Le parti sono libere di vincolarsi a prestazioni inique e l’unico modo per sciogliersi dal vincolo è rappresentato dalla dimostrazione in giudizio che la loro volontà era viziata nel momento in cui prestavano il consenso, domandando una pronuncia costitutiva che annulli il contratto ex art. 1441 c.c. o ricorrendo all’art. art. 1448 (rescissione) o al dispositivo dell’art. 1467 (risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta).

Soltanto nel caso in cui la causa manchi completamente ovvero quando il contratto abbia una funzione contraria a norme imperative, questo può considerarsi nullo e il giudice può rilevarne d’ufficio la nullità pur con i limiti previsti dagli artt. 99 e 112 c.p.c.

Eccezioni

Si è detto che la violazione di norme imperative che prevedono regole di comportamento non sono in grado di determinare la nullità del negozio. La giurisprudenza ha avuto modo, in diverse occasioni, di affermare che la nullità del contratto è determinata dalla violazione di quelle norme imperative che contengono disposizioni inerenti alla struttura del negozio e non di quelle che prescrivono comportamenti.  Occorre d’altra parte evidenziare che, in alcuni specifici casi, l’ordinamento prevede testualmente la nullità per la violazione di doveri latu sensu comportamentali e per clausole che incidono sull’equilibrio economico, questo al fine di tutelare il contraente debole con l’intento di sanzionare il comportamento abusivo da parte di operatori economici a scapito di altri in posizione di svantaggio o debolezza. Si fa in particolare riferimento alla Legge 18 giugno 1198 n.192 e alle disposizioni previste dal “Codice del consumo” che però seguono un regime peculiare e diverso rispetto a quello disciplinato dagli artt. 1418 e seguenti del codice civile. Le nullità in oggetto sono nullità cosiddette di protezione, poste cioè a tutela di interessi individuali e per questo motivo possono essere fatte valere esclusivamente dal soggetto contraente che potrebbe avere interesse alla conservazione del negozio giuridico anche laddove lo stesso fosse economicamente squilibrato. Vero è che il codice del consumo nel prevedere all’art. 33 le clausole vessatorie e comminandone la nullità nel successivo art. 36 statuisce che tale nullità è rilevabile d’ufficio, tuttavia, posto che tali disposizioni sono poste a vantaggio del contraente debole, il giudice dovrebbe indagare se vi sia o meno la volontà del consumatore di mantenere in vita la pattuizione piuttosto che invalidarla. Nel caso in cui il contraente debole esprima l’intenzione di tenere in vita il contratto iniquo, il giudice non potrebbe pertanto rilevarne la nullità.

Di contro, l’ordinamento prevede la possibilità di rilevare d’ufficio e dichiarare la nullità del contratto sperequato solo laddove la norma non miri unicamente a proteggere gli interessi del contraente in posizione di svantaggio ma sia posta piuttosto a tutela di interessi sovraindividuali. A tal proposito può menzionarsi l’art. 9 della L. 18/06/1998 n.192 recante il titolo “abuso di dipendenza economica”. La nullità prevista dall’articolo non è comminata soltanto al fine di tutelare il contraente debole bensì è prevista a protezione dell’interesse sovraindividuale della concorrenza così come può evincersi dal punto 3 – bis della legge citata.

Regno Unito

Nel diritto inglese non vi è una definizione univoca di contratto, la nozione infatti varia in base alle diverse opinioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza nonché in base alle specifiche operazioni contrattuali di volta in volta poste in essere dai contraenti. In questa sede, trattando del contratto in relazione allo specifico elemento della consideration, si dovranno prendere le mosse dalla definizione fornita da Atiyah, secondo il quale il nucleo fondamentale del contratto è il bargain ovvero “una negoziazione tra le parti in grado di produrre un agreement (accordo) avente come oggetto uno scambio di promesse (consideration) e suscettibile di valutazione economica[2].”. Il diritto inglese prescrive, quale condizione per l’esistenza stessa del contratto, la necessità che la negoziazione abbia come risultato un accordo che preveda uno scambio di prestazioni e che tale scambio sia suscettibile di valutazione economica. La consideration, che pure sembrerebbe indicare gli interessi (meritevoli di tutela) che le parti intendono perseguire attraverso l’operazione contrattuale ovvero la funzione economica del contratto (rectius: la causa del contratto) non è però traducibile attraverso tale ultimo termine poichè tra i due concetti sussistono rilevanti differenze, stante la loro diversa natura e la divergente disciplina prevista dalle disposizioni dei rispettivi ordinamenti giuridici. La parola consideration è infatti tradotta in italiano con una varietà di termini quali controprestazione, sinallagma, scambio, corrispettivo. In base alla tesi di Atiyah, così come riportata da M. Tupponi, la consideration, elemento fondamentale del contratto, è costituita da due componenti: “1) il beneficio che si deve dare in cambio al promittente e 2) l’affidamento del promissario, la cui elusione deve portarlo in una posizione deteriore rispetto a quella che avrebbe avuto se la promessa non fosse mai stata fatta[3]inoltre “una valida consideration, in senso giuridico, può consistere o in un diritto, interesse, profitto o beneficio derivante ad una parte, o in un’astensione, pregiudizio, perdita o responsabilità, data, sofferta o assunta dall’altra.” Confrontando la nozione e la disciplina della consideration di diritto inglese e quella di causa del contratto, così come prevista dal diritto italiano, può rilevarsi qualche elemento di contiguità e svariate differenze che ne impediscono la sovrapposizione. In maniera analoga a quanto avviene nel diritto italiano, specie dopo l’accoglimento della teoria della causa in concreto, è precluso alle corti di indagare sull’equilibrio economico ovvero sull’adeguatezza o sulla proporzionalità delle prestazioni dedotte in contratto. Nel diritto inglese tale principio è rappresentato in maniera plastica dalla cosiddetta “peppercorn theory” per cui la proporzione o l’adeguatezza delle prestazioni è irrilevante per stabilire l’esistenza o la mancanza della consideration. La controprestazione deve di sicuro avere un valore reale o almeno rappresentare uno svantaggio per chi la esegue, tuttavia non deve essere adeguata. Il principio in esame ha dato origine ad alcune particolari decisioni. Si può portare come esempio la decisione per cui gli involucri delle barrette di cioccolato, prive di intrinseco valore economico, sono stati ritenuti sufficienti a costituire valida consideration (vedi Chappell and Co v Nestle Ltd).

In merito alle differenze, così come individuate da autorevole dottrina[4], tra causa e consideration che non permettono una sovrapposizione o assimilazione dei due concetti con la conseguenza dell’intraducibilità del termine consideration con quello di causa, ci si limita, in questa sede, a ricordare le seguenti:

1) Per ogni singolo contratto disciplinato secondo le disposizioni del diritto civile italiano, la causa è unica per entrambi i contraenti, viceversa, nel negozio giuridico bilaterale di diritto inglese si rilevano sempre due consideration(s) legate da un nesso di reciprocità – costituente il sinallagma – che rende corrispettiva la prestazione rispetto alla controprestazione;

2) La mancanza o l’illiceità della causa comportano secondo gli articoli 1418 e 1325 del codice civile la nullità del contratto laddove nel diritto inglese gli stessi vizi precludono l’esistenza stessa del contratto che verrà considerato tamquam non esset. La categoria giuridica di inesistenza – secondo elaborazione della dottrina italiana – si distanzia dalla nozione di nullità. La prima si riferisce infatti ad atti che non presentano gli elementi minimi ed essenziali affinché gli stessi possano essere identificati quali contratti e che, secondo la stessa dottrina, “sono inidonei a produrre anche quei limitati effetti che sono prodotti dall’atto nullo[5].”.   

 

Francia

Discorso del tutto diverso relativamente all’argomento in questione meritano la Francia e la Germania. In particolare, nel primo dei Paesi citati si è assistito, con la riforma del diritto contrattuale entrata in vigore il primo ottobre 2016, al compimento della tendenza in corso ovvero quella di apportare modifiche e di ammodernare il code civil al fine di rendere il diritto francese più rispondente alle esigenze globali di armonizzazione e di unificazione, anche in base alle disposizioni contenute nei Principi Unidroit nonché alla direttiva CE del 1999 sulle vendite e alla CISG che hanno portato a una riforma più generale del diritto contrattuale francese. Tra le altre modifiche è opportuno, in questa sede, menzionare specificamente quella che ha previsto l’eliminazione dell’elemento essenziale della cause del contratto quale requisito per la sua validità che non è più presente all’interno dell’art. 1128 c.c. (vecchio articolo 1108). Nell’ordinamento francese il concetto di causa era molto simile a quello assunto nel diritto italiano, per cui la causa è la funzione economico-sociale del contratto o per utilizzare la definizione di altro autore la “giustificazione di esso nei confronti dell’ordinamento giuridico”[6] o ancora lo strumento di controllo politico sull’autonomia privata. Così come anche previsto dall’ordinamento italiano, il code civil vigente prima della riforma, comminava la nullità per un contratto privo di causa o avente causa illecita. In ogni caso, l’espunzione dell’elemento causale quale requisito per la validità del contratto ai sensi del previgente art. 1108 c.c. non è in grado di precludere il vaglio e il controllo da parte dell’ordinamento in merito alla meritevolezza e liceità degli interessi che i contraenti intendono realizzare attraverso il regolamento contrattuale. Sopperiscono in tal senso i nuovi articoli 1128, 1162 e 1169. Il primo articolo prevede infatti al 3° comma che affinché un contratto sia valido è necessario che abbia “un contenu licite” ovvero un oggetto lecito mentre l’art. 1162 statuisce che “le contrat ne peut déroger à l’ordre public […] ni par son but […]” ovvero abbia un fine che non contrasti con norme d’ordine pubblico. Infine, ai sensi dell’art. 1169 “un contrat à titre onéreux est nul lorsque […] la contrepartie convenue au profit […] est illusoire ou dérisoire” (un contratto a titolo oneroso è nullo se la controprestazione non ha valore né pregio).

Germania

Nell’ordinamento giuridico tedesco non è possibile rinvenire definizioni o nozioni riferibili alla causa o alla consideration. Sono tuttavia presenti alcune disposizioni, in particolare quelle contenute all’art. 138 BGB (codice civile) che prevedono la nullità del contratto sperequato, nello specifico l’articolo citato stabilisce a) che un negozio giuridico contrario ai boni mores (gute Sitten) è nullo e b) in particolare prevede la nullità di quei negozi giuridici mediante i quali una parte, approfittandosi dello stato di debolezza dell’altra, del suo stato di bisogno o della carente capacità di giudizio o minorata capacità psichica, stipuli un negozio a condizioni notevolmente sproporzionate e vantaggiose per se stesso o per un terzo, rispetto alla controprestazione del contraente debole. La lettura di tale norma consente di effettuare un’ultima osservazione, vale a dire, l’ordinamento tedesco, a differenza di quello italiano, sanziona con la nullità contratti la cui patologia è riferibile ai vizi nella formazione della volontà che hanno indotto una parte a concludere un contratto economicamente svantaggioso e con prestazioni sproporzionate. La norma, infatti, a parere di chi scrive, riecheggia la disposizione di cui all’art. 1448 del codice civile italiano per cui “se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.”. 

Traduzione termini:

Consideration – controprestazione, corrispettivo, sinallagma, scambio;

Bargain – nel linguaggio relativo al diritto dei contratti consiste nel patto tra le parti in grado di produrre un agreement (accordo) avente come oggetto uno scambio di promesse;

Peppercorn theory – letteralmente “teoria del grano di pepe”, si riferisce all’essenzialità della consideration all’interno del contratto. La controprestazione deve essere sempre presente a prescindere dal valore economico della stessa, potendo consistere anche in un grano di pepe.

BGB – Bürgerliches Gesetzbuch – codice civile della Repubblica federale di Germania;

Gute Sitten – buon costume o moralità pubblica

 

Fonti:

1) Sistemi Giuridici Comparati Università degli Studi di Genova – docsity-appunti-su-causa-e-consideration.pdf;

2) Chappell and Co v Nestle Ltd (lawteacher.net);

3) C. A. Pulejo – Causa, meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale.

 

[1] Per approfondimenti in merito alla differenza tra equilibrio normativo ed equilibrio economico vedi Equilibrio e squilibrio economico e normativo nel contratto, con particolare riferimento alle clausole vessatorie | Filodiritto

[2] Galgano F. – Atlante di diritto privato comparato

[3] M. Tupponi – Manuale di diritto commerciale internazionale, seconda edizione, pag. 26

[4] Per ulteriori approfondimenti vedi G. Gorla, enciclopedia del diritto, 1961

[5] Inesistenza. Diritto civile nell’Enciclopedia Treccani

[6] Vedi Causa del contratto (altalex.com)